Futuro

Migliorare nelle crisi

Nella competizione globale, emerge l’esigenza di un’Europa più coordinata e meno bloccata dagli interessi degli Stati membri. Succederà soltanto se anche i cittadini vedranno che questa è la strada che serve a cogliere le opportunità di un periodo storico sfidante, ma denso di possibilità
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18 aprile 2024 Aggiornato alle 06:30

L’Europa avanza nelle crisi, si dice. E allora, purtroppo, questo è il momento di avanzare. Nel senso di aumentare l’integrazione tra gli Stati membri.

Come ha spiegato con chiarezza l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, gli assunti fondamentali che per anni hanno tenuto insieme la strategia europea sono saltati.

I presupposti del vecchio regime erano: la sicurezza dell’ombrello militare americano, l’energia a basso costo russa e il mercato cinese per le esportazioni europee. Tutto questo è cambiato o sta cambiando rapidamente. E Mario Draghi vede soltanto una soluzione: aumentare la cooperazione tra gli Stati europei, per pesare di più politicamente, migliorare l’efficienza delle tecnologie energetiche, aumentare l’importanza del mercato interno. Significa, in sostanza, innovare profondamente.

L’innovazione all’europea, in teoria, non è quella degli altri grandi blocchi mondiali. Non è l’innovazione dirompente e disinteressata alle sue conseguenze che prevale in America. Non è l’innovazione sostenuta dal surplus commerciale e indirizzata fortemente dalla politica cinese. Ma non è neppure la precisa applicazione delle priorità che l’Europa afferma di volersi dare: attenzione all’ambiente, ai diritti umani, all’inclusione sociale. In realtà, l’innovazione europea si confronta sempre con una ricerca sulle sue conseguenze, il che è saggio, ma anche con il labirinto di interessi contrastanti dei suoi stati membri. Ed è questo che deve essere semplificato.

Una spinta alla semplificazione è, appunto, la crisi. Durante la pandemia, l’Europa si è data compiti che prima non aveva.

L’acquisto di vaccini in comune è stato una mossa di valore, anche se oggi controversa, che ha abbassato di quattro-cinque volte (dicono a Bruxelles) il costo pagato alle aziende produttrici che i singoli Stati avrebbero dovuto pagare se avessero agito da soli. E il piano di recupero economico seguito alla pandemia ha creato una sorta di budget europeo, seppure temporaneo.

Ma di fronte alla guerra, la crisi e la conseguente necessità di reagire, fanno un ulteriore salto di scala. E si sa che gli europei dovranno mettersi nell’ordine di idee di investire molto di più in armamenti intelligenti ma controllabili dagli umani, nella produzione di cibo sano, nella mobilità e abitabilità sostenibili, e così via.

Una stagione di innovazioni entusiasmante si apre. Ma occorre vedere le opportunità, investire risorse significative, valutare i risultati in funzione di obiettivi umani e non soltanto finanziari o politici.

Il problema dell’innovazione strategica diventerà il problema del destino della civiltà europea.

Sarà una grande potenza che si comporta come le altre, facendo i suoi interessi e calpestando quelli degli altri? Sarà una sorta di grande Svizzera benvoluta da tutti perché neutrale e orientata ad astenersi da qualsiasi controversia complicata? Seguirà un modello innovativo, con regole orientate davvero all’ambiente, ai diritti umani, all’inclusione sociale?

Draghi suggerisce le sue priorità: semplificare il metodo decisionale, aumentare le economie di scala generate dal mercato interno, finanziare infrastrutture pubbliche comuni, governare la demografia in modo che non si riduca la popolazione attiva in modo irreversibile.

Tutte questioni che vanno a pestare i piedi agli Stati e aumentano il potere di coordinamento della Commissione, si direbbe. E in effetti i singoli Stati non sono certo la dimensione giusta che serve in un quadro globale nel quale forti potenze regionali stanno emergendo in tutto il mondo, dall’Iran all’Arabia, dalla Russia alla Turchia, dall’India all’Indonesia, dal Brasile all’Australia, dal Sudafrica alla Nigeria, mentre le superpotenze, Usa e Cina, non fanno che crescere più dell’Europa.

Se l’innovazione sarà troppo legata alla logica dei sistemi di potere, come suggeriscono Francesca Balestrieri e Luca Balestrieri nel loro libro Tecnologie dell’impero (Luiss 2024) si perderanno occasioni per la pace che prima o poi andrà costruita.

Mentre si sciolgono le difficilissime problematiche dell’integrazione europea, tutt’altro che ovvie e scontate, gli europei dovranno spingere a loro volta senza aspettare tutto dalle soluzioni politiche.

L’innovazione all’europea ha tutte le caratteristiche che servono per sperare che funzioni: è più lungimirante, più giusta, più inclusiva di quella che emerge altrove. Ma perché funzioni non bastano le regole: occorre una società civile ed economica che colga le opportunità. Che abbia l’energia per farlo. Non serve aspettare la fine della guerra per ricostruire. Anche perché quella fine sembra lontana. La ricostruzione può partire subito.

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