Ambiente

Anche le balene hanno dei diritti

Un trattato stipulato tra i leader maori garantisce loro la personalità giuridica, un passo che potrebbe contribuire alla tutela dei grandi mammiferi marini
Credit: Los Muertos Crew 
Tempo di lettura 6 min lettura
20 aprile 2024 Aggiornato alle 11:00

Le balene devono avere personalità giuridica: lo hanno sancito alcune comunità di Nuova Zelanda, Tahiti, Tonga e delle Isole Cook, firmando un trattato che riconosce i grandi mammiferi marini come titolari di diritti.

«Quello che stiamo cercando di fare - ha spiegato Mere Takoto, leader maori del gruppo Hinemoana Halo Ocean Initiative, che ha promosso il trattato - è riconoscere alle balene il diritto alla libertà di movimento, al comportamento naturale, allo sviluppo, all’espressione culturale - che include anche il linguaggio - a un ambiente sano, a oceani sani e alla rigenerazione delle loro popolazioni».

L’intento dei leader maori è quello di fare pressione sui governi nazionali affinché si impegnino seriamente per la tutela delle balene che, per i popoli indigeni della Polinesia come per molti altri, sono animali sacri e vengono considerate antenati delle comunità. Secondo Takako ma non solo, senza le balene la rete che sostiene la vita nell’oceano collasserebbe.

Di questi enormi mammiferi sappiamo davvero pochissimo, ma negli ultimi anni l’attenzione nei loro confronti è cresciuta, come dimostra anche un numero sempre maggiore di libri di divulgazione scientifica che ne parlano. Animali miti e, nonostante la loro mole, spesso invisibili, le balene (delle quali esistono moltissimi tipi) hanno un ruolo fondamentale nel mantenere vivo e sano l’ecosistema marino.

La giornalista ambientale Doreen Cunningham, nel saggio-memoir Il canto del mare. I miei viaggi in compagnia delle balene (Einaudi, 2024, 352 pp., 21€) racconta così gli effetti della decimazione della popolazione delle balene grigie nelle lagune messicane dovuta alla caccia selvaggia della fine dell’800. “Nell’ acqua il cambiamento avvenuto produsse un vuoto, un’assenza di suoni e movimenti dovuta alla fine dei tuffi e delle emersioni delle balene grigie, una riduzione della circolazione dei nutrienti attraverso le colonne d’acqua e il conseguente crollo della diversità. Il fondo del mare rimase indisturbato. Settecento milioni di metri cubi di sedimenti […] smisero di essere rimescolati dalle balene grigie e non poterono più fornire cibo a un milione di uccelli marini affamati”.

Le balene giocano anche un ruolo cruciale nella cattura di carbonio e nella produzione di ossigeno. Grazie alle loro dimensioni e al fatto che sono in grado di ingerire e digerire grandi quantità di prede ricche di carbonio, nel corso della loro lunga vita immagazzinano enormi quantità di carbonio, molto più degli alberi. Quando una balena muore il suo corpo si deposita sul fondo dell’oceano, dove diventa fonte di nutrimento per gli animali delle profondità e il carbonio che ha incamerato nel corso della vita non torna più nell’atmosfera ma viene sequestrato dai sedimenti e riciclato nell’ecosistema dei fondali.

Oltre a questo, le balene, mentre sono in vita, restituiscono pochissima Co2 nell’atmosfera e grazie alle loro feci e urine contribuiscono al ciclo dei nutrienti, stimolando la crescita del fitoplancton che fissa ulteriori quantità di carbonio, oltre a produrre ossigeno (si stima che le popolazioni di fitoplancton ci forniscano circa la metà dell’ossigeno che respiriamo).

Secondo Doreen Cunningham, “se le popolazioni delle grandi balene tornassero ai numeri delle origini le loro morti sequestrerebbero sul fondo dell’ oceano 145.000 tonnellate di carbonio.”

Questo non significa, come ha giustamente sottolineato qualcuno, che l’impegno per la salvaguardia delle balene debba essere motivato solo da interessi legati alla sopravvivenza della nostra specie, e sicuramente non possiamo aspettarci che questi animali possano salvarci dalla distruzione che noi per primi abbiamo inflitto al pianeta, e a loro.

Infatti, secondo Heidi Pearson, professoressa di biologia marina all’università dell’Alaska, i quattro fattori principali che minacciano la vita e la salute delle balene sono tutti di natura umana.

Innanzitutto, il cambiamento climatico. L’aumento della temperatura dei mari e lo sciogliersi dei ghiacci dell’Artide le costringono a modificare rotte migratorie e a trovare nuove fonti di cibo, dal momento che le popolazioni di piccoli crostacei di cui alcuni tipi di balena si nutrono sono diminuite drasticamente.

Poi le collisioni con le navi e le reti da pesca, nelle quali possono impigliarsi. E infine l’inquinamento acustico.

Questi cetacei, infatti, sono delle grandi comunicatrici (il loro canto può essere ascoltato qui) e utilizzano, per inviarsi messaggi, il canale sonoro profondo, uno strato dell’oceano attraverso il quale le loro voci rimbalzano per migliaia di chilometri, diffondendosi grazie ai diversi strati di temperatura e pressione dell’ acqua. L’udito finissimo (scrive Cunningham che “secondo i ricercatori il cranio delle balene trasmette e amplifica le onde sonore, a tal punto che sono in grado di stabilire se un rumore proviene da sopra o sotto l’acqua”) e l’aumento esponenziale di rumori estranei dovuti all’attività umana nel mare, come trivellazioni, esplorazioni sismiche e traffico navale, ha costretto le balene a modificare non solo le rotte migratorie, per non venire disturbate, ma anche il modo di comunicare.

Cunningham sottolinea che “quando navi e imbarcazioni girano nelle vicinanze, le balene grigie vocalizzano più spesso, mentre quando i rumori fuoribordo sono rumorosi, vocalizzano più forte. In altre parole, devono alzare la voce.”

Il riconoscimento della personalità giuridica delle balene potrà essere uno strumento importante per proteggere gli animali da tutte queste minacce. Come spiega Ralph Chami, Ceo di Blue Green Future, rendere ufficialmente questi cetacei soggetti di diritto significa a esempio prevedere una multa per chiunque ne ferisca o uccida una, e poter porre l’obbligo per le navi di utilizzare dispositivi anticollisione.

Per Heidi Pearson rappresenterebbe anche un enorme passo avanti nel riconoscimento del valore delle vite non umane e della natura come titolare di diritti. Un fatto, quest’ultimo, non del tutto nuovo.

Il Bangladesh e la nuova Zelanda hanno a esempio, riconosciuto personalità giuridica ad alcuni fiumi, il Costa Rica alle api, Panama alle tartarughe liuto, Ecuador e Bolivia hanno inserito i diritti della natura perfino nella costituzione.

Se è improbabile che nel prossimo futuro vedremo una balena o una tartaruga recarsi alla Corte Internazionale di giustizia per far valere i propri diritti e quelli della sua specie, e se la protezione della natura rimane ancora in mani umane, colpevoli e imperfette, riconoscerne lo status giuridico non è solo un gesto simbolico ma può avere anche effetti pratici, limitando a esempio la negligenza di governi e privati. Come sottolinea Chami, infatti, questo tipo di riconoscimento aumenta la visibilità dei soggetti giuridici e «le cose che sono visibili non possono essere ignorate».

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