Ambiente

Inazione climatica Francia: sentenza respinta ma per l’eurodeputato Damien Carême: «Non è che l’inizio»

L’ex sindaco di Grande-Synthe ha dichiarato a La Svolta: «È comunque una vittoria perché abbiamo aperto una via»
Credit: Wikimedia commons 

Tempo di lettura 3 min lettura
12 aprile 2024 Aggiornato alle 11:00

«Abbiamo aperto una via». Parole dell’eurodeputato francese Damien Carême, membro del Gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea, ex sindaco del comune marittimo di Grande-Synthe. Parla, però, da sconfitto, perché il suo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dove aveva citato la Francia per «inazione climatica», è stato respinto.

In compenso, la Cedu ha accolto quello di 2.500 anziane svizzere, dell’associazione Anziane per la protezione del clima, condannando quindi la Svizzera. È la prima volta che il benessere climatico viene riconosciuto come diritto umano. La decisione presa il 9 aprile ha quindi un sapore storico.

Per questo Damien Carême esulta. «È comunque una vittoria per la giustizia climatica – ha commentato a La Svolta – perché considerando l’inazione della Svizzera in materia climatica come una violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, la Cedu ha riconosciuto la responsabilità degli Stati sulle conseguenze delle loro mancanze nella lotta ai cambiamenti climatici per i diritti dei loro cittadini e cittadine».

Il suo dossier, L’affaire Carême, come lui stesso ha chiamato la sua battaglia, riguardava la sua città.

Grande-Synthe è un centro urbano di 23.000 abitanti dell’Alta Francia, adiacente a Dunkerque, a poca distanza dal confine con i Paesi Bassi.

Si affaccia sul Canale della Manica e questa collocazione geografica rende la cittadina a rischio per via dell’innalzamento dei mari dovuto al riscaldamento globale.

Per l’eurodeputato, «le mancanze della Francia nell’aver preso le misure necessarie a rispettare i livelli massimi di emissione di gas serra che si era prefissata costituiscono una violazione del diritto alla vita, consacrato dall’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e il diritto al rispetto della vita privata e famigliare stabilito dall’articolo 8».

È stato questo articolo a spingere la Cedu ad accogliere il ricorso svizzero, mentre quello di Carême e di sei giovani portoghesi (legato agli incendi del 2017 che hanno causato 65 morti e 254 feriti) sono stati respinti.

Le prove dell’inazione della Francia, ha scritto Carême nel suo dossier, sono già state riconosciute dal Consiglio di Stato francese. Un riconoscimento, a onor del vero, avvenuto solo in parte.

Nel 2021, quando l’organo si espresse sulla base del ricorso depositato nel 2019, aveva respinto il ricorso fatto da lui come singola persona e accolto quello fatto sempre da lui ma nelle vesti di sindaco.

Non è ancora riconosciuto, insomma, il diritto dell’individuo ma solo i potenziali danni per un Comune. Anche perché, ha spiegato il Consiglio di Stato in una sentenza ripresa anche dalla Cedu, si stima che Grande-Synthe, di questo passo, potrà finire sommersa entro il 2040, ma non è possibile prevedere, in quella data, dove abiterà chi ha fatto ricorso, cioè Carême.

Il danno riguarderà quindi la comunità, non la singola persona. Il Consiglio di Stato aveva imposto alla Francia di ridurre le emissioni del 37% entro il 2030 (comparate ai livelli del 2005).

Due anni fa, visti i provvedimenti giudicati insufficienti, il Comune di Grande-Synthe ha avviato una nuova azione legale contro lo Stato per chiedere sanzioni economiche «per la non attuazione della sentenza del Consiglio di Stato del 2021».

«Se la questione che mi riguarda è stata dichiarata irricevibile dalla Cedu – afferma ancora l’eurodeputato francese – è per una ragione legata al luogo di residenza. Se la mia condizione di vittima non è stata riconosciuta questa volta, lo resta comunque. La mia città del cuore, Grande-Synthe, e i suoi abitanti sono alla mercé degli effetti del cambiamento climatico. Di questa decisione della Cedu resta l’immensa speranza di poter vivere in buona salute che nasce per le generazioni future, perché apre alla possibilità delle giurisdizioni nazionali di condannare i rispettivi Stati in materia di giustizia climatica. Non è che l’inizio».