Ambiente

Dura vita per l’idroelettrico italiano

La tragedia di Suviana rimarca i possibili rischi - pagati drammaticamente nella strage nel bolognese con tre addetti morti, quattro dispersi e cinque feriti gravi - legati alla meccanica e al funzionamento delle infrastrutture

Il settore dell’energia idroelettrica è oggi il motore principale, come energie rinnovabili, a spingere il Paese.

Rappresenta circa il 40% di tutte le rinnovabili italiane e dobbiamo ricordarci sempre che più di sole e vento è grazie all’acqua, soprattutto nelle regioni del Nord Italia, se da noi otteniamo energia pulita. Eppure questo importante settore fatto di grandi dighe e opere, oltre che di infrastrutture minori, negli ultimi anni ha subito diversi contraccolpi che hanno aperto a più riflessioni sul futuro dell’idroelettrico nel Belpaese.

I dati del 2022 mostrano a esempio il profondo impatto che ha avuto la siccità collegata alla crisi del clima: con poca acqua e poca neve, soprattutto in montagna, l’idroelettrico ha mostrato segnali di contrazione.

Non solo: c’è un problema anche di manutenzione e ammodernamento degli impianti dato che circa il 70% di quelli esistenti ha oggi più di 40 anni. In più, soprattutto in vista dell’immediato futuro (fra cinque anni, nel 2029), è attualissimo il tema delle concessioni, con una Europa che spinge per una apertura del mercato e un’Italia che sembra essere, a differenza di altri Paesi, fra i pochi chiamati realmente in ballo, ma dove nell’ultimo decreto Energia di idro-concessioni non c’è traccia.

Anni dopo il Vajont, l’ultima tragedia di Suviana rimarca inoltre i possibili rischi - pagati drammaticamente nella strage nel bolognese con tre addetti morti, quattro dispersi e cinque feriti gravi - legati alla meccanica e al funzionamento delle infrastrutture.

La mappa degli impianti in Italia

Detto che l’idroelettrico è oggi il principale sistema per la produzione di energia elettrica a zero emissioni, dalla prima centrale costruita nel 1895 (quella di Bertini di Porto d’Adda) il numero di infrastrutture legate all’uso dell’acqua è cresciuto esponenzialmente negli anni in Italia. Oggi, dicono i dati Terna, l’idroelettrico nel 2024 garantisce una potenza complessiva installata di circa 21,73 Gw, mentre dieci anni fa erano 21,49.

Sempre i dati Terna permettono di osservare, guardando regione per regione, come il numero degli impianti italiani sia ormai pari a 4.860.

La maggior parte si trovano in Piemonte, ben 1092, a seguire in Trentino (891) e Lombardia (749). Poi in Veneto 408, Friuli 269, Toscana 233, Emilia Romagna 223, Valle D’Aosta 220, Marche 189, Liguria 101, Lazio 101, Abruzzo 78, Calabria 74, Campania 63, Umbria 49, Molise 40, Sicilia 31 e infine 21 in Basilicata, 18 in Sardegna e 10 in Puglia.

In generale negli ultimi anni c’è stata una costante crescita degli impianti, trainati dal mini idroelettrico: solo pochi anni fa, nel 2019, si contavano circa 4.400 centrali e quindici anni fa eravamo oltre la metà rispetto a oggi. In alcune regioni, come l’Abruzzo, ci sono poi impianti che per potenza installata sono decisamente più potenti di altri.

Ma ci sono anche tante realtà, soprattutto medio piccole, che per via del possibile impatto ambientale (più che altro paesaggistico o a livello fluviale) sono contrastate da comitati locali o Nimby (Not In My Back Yard, “Non nel mio cortile”). Esempi recenti in Italia: la centrale di Rassa a Vercelli, quelle nei territori di Castel San Vincenzo e Pizzone in Abruzzo, l’opposizione attuale a quella di a Panchià in Trentino, il no dei residenti a quella di Pescia in Toscana.

Il problema siccità

L’acuirsi della crisi idrica, legata alla mancanza di neve e piogge (o più che altro al fatto che o non piove o avviene in maniera eccezionale e complessa da gestire), negli ultimi anni ha portato in diversi territori (come il Piemonte, leader per numero di centrali idroelettriche) a periodi in cui l’idroelettrico ha fatto particolarmente fatica.

Un esempio è il 2022, anno in cui la produzione di elettricità legata al sistema idrico è stata di circa un terzo più bassa rispetto alla media 2015-2021 e il 21% inferiore rispetto all’anno più siccitoso precedente (il 2017).

Per esempio, mentre in media negli ultimi anni l’idroelettrico ha prodotto più o meno il 15% di tutta l’energia elettrica consumata in Italia, due anni fa la siccità ha portato il valore al 9%.

Oltretutto, va ricordato, un tale calo nel comparto delle rinnovabili quando avviene - e in attesa di potenziare ulteriormente solare ed eolico - per garantire l’approvvigionamento energetico può spingere in una maggiore direzione verso le fonti fossili (come il gas).

Impianti vecchi, servono investimenti

Tra i problemi c’è poi l’età media degli impianti idroelettrici italiani che è decisamente alta se si tiene conto che quasi il 70% delle centrali ha oltre 40 anni e di conseguenza necessitano di costanti investimenti in manutenzione, controlli e ammodernamenti.

Una ricerca di Bain & Company sostiene che servirebbero almeno 10 miliardi di euro per ammodernare il settore dell’idroelettrico italiano e rendere le strutture efficienti sia per garantire il massimo della produzione, sia in chiave transizione energetica e per la futura e collegata produzione di idrogeno.

Un altro studio realizzato da The European House – Ambrosetti e da A2A sostiene che al settore idrico e a quello idroelettrico servirebbero investimenti da 48 miliardi di euro in dieci anni per restituire maggiori benefici al sistema energetico nazionale, sottolineando come in alcuni territori - a esempio la Calabria - servirebbero almeno 800 milioni in dieci anni per sviluppare davvero l’idroelettrico efficiente nei suoi bacini.

La spinosa questione delle concessioni

Infine, elemento non da poco, sul futuro dell’idroelettrico oggi tornato purtroppo al centro delle cronache dopo la tragedia di Suviana, pesa il tema delle concessioni, continuamente rimandato.

L’Europa vuole che le concessioni idroelettriche vengano messe a gara. Questo però non vale di fatto dappertutto, dato che in Europa settentrionale ci si regola soprattutto con “permessi” e tempi lunghissimi (anche 70 anni), mentre in quella meridionale, Italia compresa, con concessioni. Per favorire investimenti e aziende nazionali l’Italia vorrebbe prorogare le concessioni, ma l’Ue chiede di accelerare e la questione di aprire alla concorrenza è nero su bianco nel Pnrr.

A novembre, nel decreto Energia approvato, non c’erano diretti riferimenti alle concessioni idroelettriche. L’idea del governo sarebbe quella di allungare di 20 anni la durata delle concessioni agli stessi operatori a patto però di ottenere investimenti.

Le stesse aziende però criticano la durata breve (anche solo 15 anni a volte) delle autorizzazioni, una sorta di disincentivo a investire.

Giuseppe Argirò, vicepresidente di Elettricità Futura, sul tema ha lanciato l’allarme ricordando come ci sia un rischio privatizzazioni e che entro il 2029 «l’86% delle concessioni andranno a procedura competitiva in Europa», ma il tema è ancora assente dal decreto Energia. In questo contesto l’Italia potrebbe essere uno dei pochi Paesi a fare le gare, aprendo al “rischio privatizzazione”.

«Se vogliamo andare verso una gara europea, non è questione di inserire un po’ di competizione, ma di un potenziale rischio di privatizzazione. Quando ragioniamo di infrastrutture idroelettriche, non possiamo prescindere dalla sicurezza energetica del Paese - ha detto Argirò aggiungendo che - visto che oggi abbiamo urgenza di rilanciare le rinnovabili perché non creiamo le condizioni per far partire immediatamente gli investimenti, senza aspettare il 2029? Noi abbiamo solo bisogno di certezze, e la certezza è la riassegnazione delle concessioni, a fronte di piani di investimenti condivisi sulla base di parametri approvati dall’Autorità».

Sul tema anche Nicola Lanzetta, direttore generale di Enel, si è espresso in maniera chiara spiegando secondo la sua visione che «più che il rischio privatizzazione, sicuramente il rischio che questo Paese ha è quello che il mondo della generazione idro, che rappresenta il 40% di tutte le rinnovabili italiane, con delle aste o delle gare libere, senza tener conto del territorio, senza tener conto della criticità che l’acqua oltre un bene elettrico è anche un bene all’agricoltura, possa andare a finire fuori dal controllo di questo Paese. Dobbiamo entrare nella mentalità che l’idroelettrico è una risorsa strategica di questo Paese».

Il fatto di non inserire la questione concessioni nell’ultimo decreto potrebbe portare a scoraggiare le grandi aziende a investire e dunque a un permanere di quegli impianti idroelettrici già obsoleti. Come ricordano però diversi analisti, la buona salute e l’efficienza delle oltre 4.000 centrali italiane dovrebbe essere una priorità anche per centrare gli obiettivi climatici e della transizione energetica.

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