Diritti

Senti chi parla, al femminile!

L’Università di Trento pubblica un documento in cui abolisce il “maschile sovraesteso”: il rettore diventa rettrice e scoppia la polemica. Non solo tra i puristi della lingua italiana
Credit: Joinrs.com
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3 aprile 2024 Aggiornato alle 09:05

Anna e Marco sono stanche. Cosa stona in questa frase? Facile: ho usato il femminile sovraesteso. Una forma linguistica che non è prevista dalla lingua italiana, ma che sta creando scompiglio dopo la decisione dell’Università di Trento di utilizzarla per redigere il nuovo regolamento di ateneo.

Così professori, segretari, candidati maschi diventeranno professoresse, segretarie, candidate con tutte le correlazioni femminili del caso. «Leggere il documento mi ha colpito - ha detto la “rettrice” Flavio Deflorian - Come uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali. Ho proposto di dare un segnale di discontinuità, una decisione che è stata accolta senza obiezioni».

Fuori dalla sede accademica trentina, però, il mood è assai diverso. Perché non c’è tema che in Italia faccia saltare più i nervi alle puriste e ai puristi della lingua, ai granitici dell’italiano non-si-tocca, a chi si nasconde dietro la tastiera per azzannare chiunque osi mettere una “a” dove prima c’era una “o”, un asterisco dove prima c’era solo un plurale maschile o magari una bella schwa per indicare un linguaggio moderno e inclusivo (abolita anche in Baviera).

Figurati se in ballo c’è da dimostrare l’evidenza, ovvero che c’è più sessismo nella nostra grammatica che in un night club. E che buona parte delle discriminazioni di genere, e quindi del progresso dell’umanità, passano anche dal modo in cui parliamo, dai termini che utilizziamo, dai bias forzati dalla nostra lingua binaria dove ogni sostantivo ha un genere maschile o femminile e dove il neutro non esiste: è gentilmente “occupato” dal maschile sovraesteso, che appunto ci rende cacofonico qualsiasi tentativo di femminilizzare alcune parole soprattutto in ambito lavorativo. Anche quando il dizionario già lo permetterebbe.

“La questione dei nuovi femminili professionali non è frutto di una teoria del complotto, ma semplice conseguenza dalla comparsa nella società di sindache, assessore, ministre, ingegnere - spiega la linguista Vera Gheno nel suo saggio Femminili singolari - Non sono neologismi ma forme dormienti che esistevano già e non venivano usate perché ancora non servivano”. Gheno ci ricorda che chiamare le donne che fanno un certo lavoro con un sostantivo femminile non è un semplice capriccio ma il riconoscimento della loro esistenza. E che “la capacità di un lingua di adattarsi a descrivere una realtà in perenne movimento è indice del suo buono stato di salute”.

Già nel 1986 il documento Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, redatto da Alma Sabatini per la Commissione pari opportunità, suggeriva alternative concrete per evitare discriminazioni: vale la pena di leggerlo per i moltissimi esempi che ancora oggi trovano scarsa applicazione a cominciare da chi fa informazione, come usare “umanità” al posto di “uomo”, non dare sempre la precedenza al maschile nelle forme come “signori e signore”, utilizzare il femminile per la giudice, la presidente, la magistrata, l’avvocata e mai l’avvocatessa.

Quello che stupirebbe (ma magari nemmeno tanto) la celebre linguista che nel 1987 pubblicò anche un volume per la Presidenza del consiglio intitolato Il sessismo nella lingua italiana (puoi liberamente scaricarlo qui), è che i commenti più piccati letti in questi giorni sulla decisione dell’ateneo di Trento arrivano proprio da donne. Come se la questione del linguaggio fosse diventata sostanzialmente un problema minore da risolvere “inter nos”: c’è chi invita a non cavillare sui termini e badare alla sostanza delle conquiste ottenute, chi pensa che combattere la violenza di genere sia ben altra cosa da affermare il femminile anche nella lingua, chi considera il tema troppo elitario per essere compreso.

Eppure, scriveva Sabatini 38 anni fa, “A chi dice che vi sono cose molto più importanti per cui lottare e per le quali si devono serbare le energie, io dico che al contrario energie producono energie. Riteniamo nostro dovere dare indicazioni affinché i cambiamenti linguistici possibili registrino correttamente i mutamenti sociali. E si orientino a favore della donna”.

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