Ambiente

L’Italia è il Paese più idrovoro d’Europa

Utilizziamo 9 miliardi di metri cubi d’acqua ogni anno. E siamo al primo posto nel mondo per consumo di minerale in bottiglia. Sono i dati diffusi nella Giornata Mondiale dell’acqua da The European House -Ambrosetti, che qui racconta le sfide per gli investimenti del futuro
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
22 marzo 2022 Aggiornato alle 11:29

Negli ultimi 20 anni, il 74% dei disastri naturali rientra nelle tragiche conseguenze della crisi idrogeologica. È il dato d’apertura in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, fornito dalla Community Valore Acqua per l’Italia di The European House – Ambrosetti durante la presentazione a Roma del Libro Bianco dell’acqua.

Tra il 2009 e il 2019, infatti, si sono registrati 55.000 morti e 103 milioni di persone colpite da inondazioni. In termini economici 74,8 miliardi di dollari di danni. Non è un caso, infatti, che il World Risk Report tra i principali pericoli dei prossimi anni annoveri il fallimento delle iniziative volte all’adattamento climatico, gli eventi meteorologi estremi e il drastico impoverimento della biodiversità.

Entro il 2050, secondo le stime, saliremo a quota 10 miliardi di abitanti e di pari passo aumenterà il consumo dell’acqua: rispetto ai 4,2 trilioni di metri cubi di adesso, ne serviranno 6. Eppure, la distribuzione del bene più prezioso della Terra non è omogenea: 2,2 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua potabile e 1,6 miliardi patiscono una vera e propria scarsità d’acqua.

Di contro l’Italia, come già emerso in un precedente rapporto di Community Valore Acqua per l’Italia di The European House – Ambrosetti, è il Paese più idrovoro d’Europa, con oltre 9 miliardi di metri cubi utilizzati ogni anno: al primo posto nel mondo per l’acqua minerale in bottiglia e al secondo per l’acqua del rubinetto.

L’impiego del cosiddetto “oro blu” impatta su molti aspetti della nostra vita e rivestirà un ruolo cruciale nell’ambito dello sviluppo sostenibile. L’agricoltura, per esempio, è al primo posto tra i settori che utilizzano l’acqua (circa il 54% del totale dei prelievi) e l’Italia è al quarto posto in Europa per superficie dedicata all’agricoltura biologica (16%). Ma le infrastrutture non sempre consentono un adeguato approvvigionamento: nei prossimi anni sarà importante per gli agricoltori dotarsi di sistemi di irrigazione che limitino lo spreco delle risorse, per esempio tramite l’irrigazione a goccia o il riuso delle acque reflue.

Un esempio virtuoso all’estero è quello dell’autorità del bacino idrografico del fiume Segura (Spagna), che ha approntato un inventario delle acque bonificate per poi assegnare i diritti di utilizzo agli agricoltori e agli altri utenti. Catalogare le risorse idriche disponibili sarebbe un passo importante per garantire un’equa distribuzione e compensare le difficoltà delle regioni dove incombe il problema della siccità.

Inoltre, assicurare la qualità dell’acqua e la sua disponibilità su un determinato territorio garantisce che anche le infrastrutture igienico-sanitarie siano sicure. Un elemento già evidenziato dall’Obiettivo 3 dell’Agenda 2030 e che ha assunto a maggior ragione rilievo nel contesto della crisi pandemica.

Rispetto alla qualità dell’acqua, la Penisola è posizionata al 6° posto in Europa (dopo Lettonia, Estonia, Malta, Slovacchia e Lituania), anche se, a dire il vero, all’interno dell’Unione non varia molto da uno Stato all’altro (rimanendo invece un parametro da monitorare con attenzione per i Paesi in via di sviluppo). Chiude la classifica la Romania con un elevato tasso di mortalità legato all’acqua non sicura (pari a 0,40 morti ogni 100.000 abitanti, più del doppio della media europea) e alla bassa percentuale di acque reflue domestiche depurate in modo sicuro (48%, 34 punti percentuali al di sotto della media europea).

Inoltre, quella idrica è una risorsa essenziale per la produzione di energia: il 15% dell’acqua dolce estratta viene utilizzata dal settore energetico a livello globale. L’Italia figura in 13esima posizione in Europa con 7,9 metri pro capite di rete idrica, rispetto a una media europea di 8 metri pro capite e al 14° posto, con il 31,3% di energia rinnovabile prodotta nel mix energetico complessivo, leggermente al di sotto della media europea (31,6%).

In questa prospettiva, il PNRR rappresenta un’opportunità imperdibile per la filiera dell’acqua nel Bel Paese. Secondo Valore Acqua per l’Italia, sarebbero circa 7.8 miliardi di euro i fondi previsti in totale per una gestione più efficiente e sostenibile delle risorse idriche.

In particolare, 2,5 miliardi di euro saranno destinati al contenimento del rischio alluvione e idrogeologico e 2 miliardi agli investimenti in infrastrutture idriche; a seguire 900 milioni alla digitalizzazione e al monitoraggio delle reti di distribuzione dell’acqua, 600 milioni in fognature e depurazione, 400 milioni per il ripristino e la conservazione degli habitat marini. I fondi pubblici del PNRR da soli non sono sufficienti, ma in base alle stime di Valore Acqua, insieme ad altri investimenti pubblici e privati e a una tariffa idrica un po’ più alta, potrebbero contribuire in maniera significativa a ridurre il Water Service Divide, il gap tra Nord e Sud nei servizi idrici, dovuto in parte a caratteristiche idrografiche, in parte alla gestione decentralizzata.

Occorrerebbe infatti un maggior coordinamento delle regioni. In questo senso, sarebbe utile servirsi di un criterio di valutazione uniforme. Il cosiddetto water footprint è “l’indicatore che misura il volume totale di acqua dolce utilizzata in modo diretto e indiretto per produrre beni e servizi in tutto il loro ciclo di vita” che prende in considerazione alcuni parametri specifici e oggettivi, come la gestione efficiente della risorsa, la sostenibilità delle infrastrutture, la qualità dell’acqua, l’igiene e la sanificazione.

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di Redazione 2 min lettura