Ambiente

Gli specchi d’acqua di tutto il mondo sono inquinati (anche) dalla chimica

In ogni angolo del Pianeta, rivela uno studio internazionale dell’università di York, la contaminazione di mari e fiumi ha raggiunto livelli di non ritorno. Sul banco degli imputati: i composti usati dall’industria farmaceutica che non si dissolvono nell’ambiente
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
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15 febbraio 2022 Aggiornato alle 19:00

I fiumi e specchi d’acqua che bagnano tutti e 5 i continenti sono inquinati. Questa volta, però, sul banco degli imputati non c’è la plastica ma altri composti chimici utilizzati anche nell’industria farmaceutica. Dalla carbamazepina (usata per l’epilessia) alla metformina (impiegata contro il diabete) fino ai Pfas, la contaminazione dei nostri sentieri liquidi comporta seri rischi per l’ambiente e la nostra stessa salute.

Sulla presenza di 61 sostanze farmaceutiche nelle acque, l’Università britannica di York nell’ambito del Global Monitoring of Pharmaceuticals Project ha realizzato una ricerca in oltre 1.000 località, lungo 258 fiumi di 104 Paesi. I risultati, pubblicati sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze Pnas, hanno dimostrato che un quarto di tutti i siti monitorati presenta almeno un principio attivo sopra il livello considerato sicuro per l’ambiente e la salute umana e che, parallelamente, i dati più allarmanti riguardano soprattutto gli Stati a medio-basso reddito, con Bolivia, Pakistan ed Etiopia in testa.

«Quello che ora sappiamo è che anche i più moderni ed efficienti impianti di trattamento delle acque reflue non sono completamente in grado di degradare questi composti prima che finiscano nei fiumi o nei laghi» ha spiegato alla Bbc News John Wilkinson, a capo dello studio.

Guardando nello specifico alla carbamazepina, la sostanza è stata riscontrata nel 62% dei campioni, in 652 località di tutti i continenti, a eccezione dell’Antartide. Un importante record negativo è stato registrato a La Paz, in Bolivia, lungo il Rio Seke, dove è stata rilevata una concentrazione di farmaci 115 volte superiore a quella dell’East River di New York. Un altro triste primato se lo aggiudica il fiume Kai Tak (Hong Kong), inquinato dal numero maggiore di sostanze, 34. Primato virtuoso invece per l’Islanda, unico Paese dove non è stata trovata nemmeno una delle sostanze considerate.

Questo tipo di contaminazione ha una forte caratterizzazione geografica. In Africa, a esempio, lo studio segnala alti livelli di artemisinin, utilizzato nei prodotti anti-malarici, mentre in Europa spicca il propranololo, un betabloccante impiegato contro l’ipertensione.

Un’altra criticità, che compromette la salubrità degli specchi d’acqua, riguarda altre sostanze chimiche, tossiche e difficilmente biodegradabili, come i Pcb o i Pfas. A questo tema la giornalista Anna Turns ha dedicato il libro Go toxic free: easy and sustainable ways to reduce chemical pollution, puntando il dito contro questi composti chimici che una volta raggiunto il suolo e poi l’acqua migrano per tutto il Pianeta. Guardando nello specifico ai fiumi e ai mari, questo problema acquista maggiore forza a causa della bioamplificazione (o biomagnificazione), il processo per cui l’accumulo di sostanze tossiche negli esseri viventi aumenta di concentrazione procedendo dal basso verso l’altro nella catena alimentare.

Una importante dimostrazione era stata fornita nel 2005 con la pubblicazione di una ricerca, condotta tra il 1987 e il 1999, che segnalava una concentrazione elevata di Pcb nel latte materno delle donne che abitavano le isole Faroe, arcipelago nell’Oceano Atlantico settentrionale. A lungo impiegati come fluidi dielettrici nei trasformatori e nei condensatori elettrici, la produzione industriale di queste sostanze è stata drasticamente ridotta tra gli anni ’70 e ’90 e ne è stata vietata la produzione e importazione nei Paesi europei. Con la Convenzione di Stoccolma del 2001, che oggi riunisce oltre 180 Stati, è stato deciso di eliminare gradualmente il loro impiego nelle apparecchiature entro il 2025.

Tuttavia, solo 17% della quantità totale di queste sostanze tossiche è stata eliminata, mentre 14 milioni di tonnellate attendono di essere smaltite. Secondo il Programma ambientale delle Nazioni Unite, la quantità di materiale contaminato in Europa in attesa di essere distrutto ammonta a 1 milione di tonnellate.

Questi composti, come ha spiegato Anna Turns, si fanno strada nel mare, accumulandosi nel tessuto adiposo degli animali marini. «Una volta nella catena alimentare, queste sostanze chimiche possono “biomagnificarsi” mentre passano dalla preda al cacciatore, raggiungendo concentrazioni più elevate nei principali predatori. Ecco perché può essere più rischioso mangiare regolarmente grandi animali marini come il tonno, o i globicefali, come nel caso degli abitanti delle Isole Faroe, piuttosto che sgombri, acciughe o sardine».

Pericolosi sono anche i Pfas, diventati tristemente famosi nel nord Italia, dove ne sono state riscontrate alte concentrazioni nel sangue di alcuni comuni del vicentino. Dagli anni Cinquanta queste sostanze vengono impiegate per conciare pelli, trattare tappeti, produrre carta e cartone per uso alimentare, rivestire le padelle antiaderenti ma anche nella produzione di abbigliamento tecnico soprattutto per le loro qualità idrorepellenti. Se smaltiti illegalmente o non correttamente, possono penetrare nelle falde acquifere e raggiungere i campi e i corsi d’acqua, e dunque anche il cibo con cui ci alimentiamo.

Con i Pfas, noti come “sostanze chimiche eterne”, la storia di contaminazione iniziata dai Pcb potrebbe ripetersi in futuro. «I Pfsa inquinanti che fuoriescono nell’oceano spesso tornano a riva quando vengono rilasciati nell’aria dagli aerosol marini delle onde che si infrangono: un’ulteriore prova che le sostanze chimiche tossiche non vengono diluite dal mare – sottolinea Turns – Sebbene la legislazione sia lenta, sono urgentemente necessarie misure preventive più rigorose per assicurarci che gli inquinanti emergenti in uso oggi non diventino i contaminanti del futuro».

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