Bambini

Sharenting, uno strano verbo e una pericolosa abitudine

Sharing è un bellissimo verbo inglese e vuol dire “condividere”. Parenting è un bellissimo verbo inglese e vuol dire “fare il genitore”. Allora, perché sharenting è brutto?
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30 marzo 2024 Aggiornato alle 09:00

Condividere è una cosa bellissima. Condividere vuol dire dividere insieme con gli altri. Ecco alcune cose speciali da condividere nel corso degli anni: la merenda e i pidocchi alla scuola materna, le risate e un po’ meno pidocchi alla scuola elementare, i batticuori alle medie, le notti al chiaro di luna alle superiori, le lacrime e il sugo all’università, la vita con dei figli, dopo.

Una cosa che non si dovrebbe condividere, però, è la vita dei figli. O perlomeno, non si dovrebbe condividere come lo facciamo adesso noi grandi. Ti spiego: guardare crescere un bambino è lo sport preferito di tutti i genitori, da sempre. Cambiate così in fretta che facciamo di tutto per fermare il tempo: scattiamo foto, giriamo video e scriviamo sul calendario le vostre grandi conquiste. Se fino a qualche anno fa, le foto finivano tutte stampate in un album e i video si guardavano una volta ogni tanto, adesso le immagini girano, schizzano, volano e restano sospese nella grande nuvola di internet. Noi non le guardiamo quasi mai ma milioni di sconosciuti possono prenderle, scaricarle, modificarle e farci quello che gli pare.

Voi che siete i piccoli della Generazione Alpha, cioè nati dopo il 2012, siete arrivati sulla terra che internet era già dappertutto. Quando siete nati esistevano già i social network e i vostri genitori ne hanno approfittato per condividere con amici, parenti e sconosciuti vicini e lontani tantissime vostre foto. Migliaia di foto. Si calcola che, nei primi tre anni di vita, un bambino abbia già 1500 immagini di sé pubblicate sui social dai genitori. Altro che album di figurine!

Questa condivisione grandissima di foto e video che riguarda i figli si chiama sharenting, una parola inglese che mischia share (condividere) e parenting (fare il genitore). Spesso lo sharenting nasce solo dalla voglia di mostrare con orgoglio il proprio pupetto ma altrettanto spesso serve a farci comprare cose: creme, vestiti, cibo, ecc. I figli, insomma, vengono usati per fare della pubblicità in cambio di soldini dati ai genitori.

Oltre alle foto, senza neanche rendersene conto, i genitori condividono col mondo un numero altissimo e molto prezioso di informazioni che riguardano i loro figli: il nome e il cognome, le malattie, i gusti e le abitudini, i luoghi frequentati spesso.

Quante volte vi abbiamo detto: «Non parlare agli sconosciuti»? Ecco, noi grandi non capiamo che postare tutte quelle foto, quei video e quelle informazioni è come raccontare i vostri segreti più segretissimi a centinaia, migliaia, milioni di persone che non conoscete ma che hanno l’impressione di conoscere voi. Alcuni di loro possono essere semplici spettatori ma altri possono avere bruttissime intenzioni.

In vari Paesi del mondo e finalmente anche in Italia, i politici stanno cominciando a votare delle regole per limitare lo sharenting e proteggere i bambini di oggi e gli adulti di domani. I Italia, 4 politici di sinistra hanno appena fatto una proposta di legge importantissima per tutelarvi.

Prima di tutto, vogliono ridurre tantissimo la possibilità di postare foto di bambini sotto i 14 anni. Eh sì! Siamo tutti d’accordo che il consenso sia molto importante, e bisogna sempre chiedere alle persone se vogliono o meno fare una cosa, fin da piccole. E allora perché regaliamo al mondo, agli sconosciuti, così tante informazioni private sui nostri bambini senza il loro permesso?

Stiamo osservando solo ora gli effetti dello sharenting sulla mente dei bambini quando crescono e non sono per niente belli. I ragazzi e le ragazze non si riconoscono nelle foto postate dai genitori, spesso buffe, intime o un po’ ridicole, e sono a disagio con tutti i commenti degli sconosciuti e con le prese in giro dei propri compagni e compagne. È per questo che la nuova proposta di legge vuole rendere possibile quello che si chiama diritto all’oblio, e cioè il diritto a essere dimenticati cancellando tutte le foto e i video postati in passato dai genitori.

La proposta di legge vuole anche fare in modo che i genitori non si arricchiscano usando i bambini per fare pubblicità. La pubblicità non è sbagliata, e usare dei minori può essere necessario, ma come per i film vanno considerati come piccoli attori con dei contratti, dei diritti e dei guadagni. Non come pupazzi dei loro genitori.

Queste leggi sono molto importanti perché ci obbligano ad avere un’educazione digitale che i nostri genitori, i tuoi nonni, non avevano gli strumenti per darci. Nel vasto mare di internet navighiamo a vista perché tutto cambia molto in fretta. Però, come su una barchetta in mezzo al mare, è a voi che va messo il salvagente per primi.

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