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Emma Dante: «Incoraggiamo gli uomini a imparare a parlare di noi donne»

La drammaturga, regista e attrice è stata premiata con il riconoscimento Le Forme del Cinema a Sguardi Altrove Women’s International Film Festival; intervistata da La Svolta, ha raccontato quali sono i temi che ha portato sul grande schermo e continua a portare a teatro
Emma Dante
Emma Dante
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14 marzo 2024 Aggiornato alle 13:00

Arriva a Milano il festival internazionale dedicato alla promozione del cinema e della creatività femminile, Sguardi Altrove Women’s International Film Festival. La 31° edizione si svolgerà da domani, 15 marzo, a domenica 24 marzo e vedrà protagonista il “Corpo delle Donne nelle sue diverse declinazioni e nelle sue implicazioni culturali, politiche e artistiche”.

La rassegna avrà come quartier generale la Cineteca Milano Arlecchino, per poi spaziare in altre sale cinematografiche e luoghi culturali della città. Il programma, con oltre 60 film provenienti da 30 Paesi, prevede anche incontri, masterclass e momenti di formazione. L’edizione, dedicata a Sandra Milo, ha come madrina la scrittrice, formatrice e attivista Francesca Vecchioni, presidente della Fondazione Diversity che inaugurerà il festival il 15 marzo.

Quest’anno, però, è stata Emma Dante a dare il via alla nuova edizione: la drammaturga, regista e attrice è stata insignita del premio Le Forme del Cinema, che il Festival conferisce alle professioniste del mondo dello spettacolo. La premiazione è avvenuta durante l’incontro Il corpo degli attori nel teatro e nel cinema contemporaneo, ospitato dal Piccolo Teatro Studio Melato di Milano in occasione del debutto teatrale di Re Chicchinella, nuovo spettacolo della regista palermitana tratto dalle fiabe di Giovanbattista Basile. Andrà in scena fino al 28 marzo a Milano, poi ad aprile si sposterà a Cascina, in provincia di Pisa, e a Castelmaggiore, in provincia di Cremona.

La Svolta ne ha parlato con l’attrice.

Il 9 marzo, alla pre-inaugurazione, Sguardi altrove Women’s International Film Festival le ha assegnato il premio “le forme del cinema 2024”, perché lei ha fatto “del corpo femminile il cuore pulsante dei suoi lavori teatrali e cinematografici”, spiega la rassegna. Volevo partire da qui proprio per chiederle quale valore ha il corpo femminile nelle sue opere?

Io parlo con gli attori e le attrici anche attraverso la fisicità, un tema molto importante nelle opere che metto in scena. È chiaro che i corpi delle donne sono molto più, come dire, suggestivi perché sono dei paesaggi con dei promontori, con delle vallate stupendi. Quindi fisicamente nel teatro, dove io tra l’altro non uso scenografie, ed è sempre tutto molto scarno e molto vuoto, i corpi delle attrici e degli attori riempiono questo luogo diventando proprio dei paesaggi. E la stessa cosa accade anche nel cinema: c’è una vicinanza a volte molto, molto indiscreta della macchina da presa, che si avvicina tanto alle persone. Diciamo che per me tutti i corpi, sia maschili che femminili, la fisicità, il respiro, sono elementi molto importanti.

A proposito di cinema, pensavo alle Sorelle Macaluso, dove le protagoniste sono 5 sorelle. Secondo lei i film che mettono al centro la prospettiva femminile sono ancora troppo pochi? E la prospettiva femminile è ancora un tema di cui parlano maggiormente le donne?

Non lo so se sono pochi. Le prospettive e gli universi femminili sono stati poco indagati perché evidentemente non erano così interessanti come quelli maschili, però adesso sembra che ci sia una maggiore attenzione, e ci sono anche dei registi uomini che sanno trattare molto bene l’universo femminile. Lo vediamo anche dall’ultimo film di Yorgos Lanthimos, Poor Things, che ha raccontato le storie di Bella Baxter: mi sembra un film sulle donne molto potente. Quindi no, credo che non siano solo le donne a saper parlare delle donne. Secondo me ci sono anche gli uomini, anzi, bisogna incoraggiare gli uomini a imparare a parlare delle donne perché, invece, l’universo femminile è importante: magari lì si trovano le risposte a delle domande che sono rimaste in sospeso in questi secoli. Potrebbe essere un bell’esercizio cercare le risposte lì.

Il 9 marzo, quando ha ricevuto il premio Le Forme del Cinema, ha introdotto la proiezione di Misericordia: si tratta del suo ultimo lungometraggio presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023, che prende il nome dallo spettacolo teatrale che lei ha realizzato prima della pandemia e ora è in tournée in giro per il mondo. Anche qui parla di donne, di violenza, di una società patriarcale che controlla un po’ il mondo femminile. Che cosa voleva comunicare e che cosa ha ispirato il suo spettacolo?

Un incontro che feci in un ospedale con un ragazzino autistico che girava su se stesso senza fermarsi mai, come un derviscio impazzito, e rideva, rideva. Era felice. Questa immagine mi ha colpito tantissimo ed è stata poi quella da cui io sono partita per raccontare la storia di Arturo, il protagonista di Misericordia, che è questo ragazzino con disabilità autistico, con un gravissimo deficit psicomotorio, che non parla e che nasce dai calci e dai pugni che riceve nel ventre sua madre dal padre. Insomma, questo film inizia proprio con un femminicidio, poi però si sviluppa attorno a questo ragazzino che pur essendo disabile e difettoso, viene adottato da tre madri. Il film racconta la violenza, ma racconta anche la possibilità anche di una famiglia diversa, non tradizionale, di una famiglia allargata dove le persone si prendono cura degli altri.

I suoi film parlano spesso di vita al margine, fanno emergere disuguaglianze e ingiustizie. Le chiedo, da dove nasce la necessità di raccontare queste realtà?

Io sono un’artista, devo raccontare queste cose. Non saprei cos’altro potrei raccontare se non le torture della società, credo sia il mio dovere. Anche trattando di ceti più altolocati di quelli di cui parlo io, un artista deve comunque parlare delle miserie umane, perché se non caccia fuori la miseria umana dal racconto che fa, a che cosa serve poi al pubblico? Se il pubblico, attraverso un’opera, non capisce delle cose, non elabora, non riflette sulle cose, a che cosa serve? A intrattenere? Un’artista vero non deve intrattenere, deve scavare.

Parlando di violenza di genere lei ha sempre dedicato molto spazio a questo tema. Secondo lei il teatro e il cinema possono essere dei veicoli per educare spettatori e spettatrici su questo tema?

Certo, assolutamente. Come dicevo prima, l’artista deve intraprendere un cammino di responsabilità quando fa un’opera, quindi il teatro e il cinema sono fondamentali per smuovere le coscienze. E credo che siano ugualmente potenti nel farlo.

Lei ha iniziato dal teatro e poi è passata al cinema, senza però abbandonare mai il palcoscenico. Che differenze ha trovato tra questi due spazi?

Sono due linguaggi completamente diversi, il teatro e il cinema stanno proprio agli opposti, sono diversissimi. Però sono riuscita e riesco a trovare un modo per raccontare le mie storie sia al cinema che al teatro, cercando di mantenere fedeltà a questa diversità.

A febbraio sono emersi episodi di minacce, mobbing, intimidazioni, ma anche volgarità sessiste nei confronti delle lavoratrici del Teatro di Roma. Un’inchiesta di Fanpage ha puntato i riflettori sul clima “irrespirabile” riservato alle donne. Lei ha mai vissuto situazioni simili?

Io non ne ho mai vissute personalmente, per fortuna. Per come sono fatta, se mi fosse capitata l’avrei subito denunciata, perché è importante agire subito, immediatamente. Non la devono passare liscia. Si pensa che nel teatro accadano meno cose simili, a differenza del cinema, dove vengono fuori più spesso storiacce simili, perché il cinema è un mondo in cui le attrici vengono sempre messe sotto esame. Anche perché c’è meno attenzione al corpo delle attrici di teatro, sono molto più libere da questo punto di vista, perché il teatro è il posto dove possono stare tutti e tutte. Per questo mi sembra agghiacciante che sia accaduta una cosa simile a teatro. A questo punto non c’è un posto sicuro.

Per lei, in quanto donna, è stato complesso riuscire a far sentire la propria voce nel mondo del teatro e del cinema?

Sicuramente è stato più faticoso, cioè se fossi stata uomo tutto sarebbe stato più in discesa. Io penso di aver dovuto dimostrare di essere comunque brava nelle cose che facevo, mentre spesso gli uomini non devono neanche dimostrarlo, vanno avanti anche se sono mediocri. Io mi sono ritrovata comunque a dover lavorare tantissimo, a dover fare molto lavoro di convincimento delle mie capacità. Quindi, sì, è stato faticoso arrivare dove sono arrivata, secondo me, perché sono donna.

In questo momento sta lavorando a qualcosa in particolare?

Non nel cinema, ma sto facendo dei lavori legati al teatro e all’opera lirica. Il cinema per ora l’ho messo da parte, anche perché sono rimasta molto delusa dall’uscita del mio film, che è stato praticamente quasi del tutto ignorato. È stato in sala troppo poco, e questa cosa mi ha molto amareggiata. Come sa, per fare un film uno ci mette almeno tre anni, investe dei soldi e tante persone che ci lavorano. Se poi sta una settimana scarsa in sala, ovviamente questa cosa diventa un grande dispiacere. E quindi per ora mi sono fermata. Io non sarò mai un film di cassetta, non farò mai un film che al botteghino fa i grandi numeri, ma questo non significa che un film sperimentale, non conforme, imperfetto, non debba comunque avere lo stesso diritto di vivere di uno che invece fa grandi incassi. Dovrebbe essere pacifico che ci siano entrambe le possibilità per il pubblico, sia di vedere il grande filmone commerciale che intrattiene, con le grandi star, che i piccoli film dipendenti. Il cinema va visto al cinema, questo è il concetto principale. Però se il cinema rigetta e rifiuta il cinema, allora a quel punto c’è un problema.

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