Ambiente

Gli statunitensi mangiano fino a 11.000 microplastiche l’anno

La Ong Ocean Conservancy e la University of Toronto hanno rilevato piccoli residui di materie plastiche in alcuni alimenti proteici consumati regolarmente negli Usa: le particelle erano presenti in quasi il 90% dei campioni analizzati
Tempo di lettura 4 min lettura
1 marzo 2024 Aggiornato alle 17:00

L’inquinamento ambientale causato dalle materie plastiche è ai massimi livelli e continua a crescere a livello globale. Nell’arco di pochi decenni la produzione planetaria è passata da 2,3 milioni di tonnellate prodotte annualmente nel 1950 a 448 milioni nel 2015, ed è previsto un raddoppio della produzione per il 2050. Di queste tonnellate, solo il 9% viene riciclato, mentre il resto si accumula nell’ecosistema fino ad avere le microplastiche (da micrometro, un millesimo di millimetro, a mezzo centimetro) anche nel nostro corpo.

La ricerca condotta dalla Ong Ocean Conservancy e dalla University of Toronto ha scoperto la presenza di microplastiche all’interno di alcuni alimenti proteici analizzati, rilevando come in quasi il 90% è possibile trovare le minuscole particelle di plastica. Sono state esaminate oltre 12 tipi diversi di proteine comuni che vengono abitualmente consumate negli Usa: dal pesce al manzo, fino al tofu. Nello studio si evidenzia che un adulto in media ingerisce 11.000 pezzi di microplastiche l’anno.

«Non c’è modo di nascondersi dalla plastica se la stai mangiando. Se il tuo desiderio è del tipo: “Voglio scegliere qualcosa che non contenga plastica”, davvero non puoi » ha dichiarato George Leonard, uno degli autori dello studio e capo della ricerca alla Ocean Conservancy.

La diffusione delle microplastiche ha raggiunto livelli estremamente problematici, tanto da essere state ritrovate anche nelle neve antartica, nei fondali marini o nelle bottigliette di acqua. Per il momento i potenziali effetti negativi delle microplastiche sulla salute umana sono ancora in fase di studio, ma il report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elencato i possibili rischi, soprattutto dell’esposizione alle nanoplastiche, che sono le particelle più piccole di un micrometro.

«Le persone non dovrebbero farsi prendere dal panico per la concentrazione di plastica nel cibo, con l’avvertenza “per ora”. Dobbiamo fare molta più ricerca scientifica. Anche se non abbiamo ancora un’idea di quali siano le conseguenze sulla salute umana, ammesso che ve ne siano, dobbiamo prenderle sul serio perché si tratta di un problema che non si risolverà da solo, ma che andrà a peggiorare con la plastica che usiamo e buttiamo via» ha sottolineato Leonard.

A livello internazionale sono in corso una serie di negoziati per arrivare a un trattato contro l’inquinamento delle materie plastiche entro il 2024. Nel settembre 2023 l’UN Environment Programme (Unep) ha pubblicato il “progetto zero” per arrivare alla graduale riduzione ed eliminazione della plastica, ma il compito sarà estremamente arduo data la resistenza di questo tipo di materiali.

«Le microplastiche continueranno a essere trovate ovunque finché le persone continueranno a utilizzare plastiche progettate per durare. Abbiamo creato questi materiali affinché resistessero per secoli, se non millenni, quindi questo dovrebbe essere considerato un difetto di progettazione», ha affermato Paul Anastas, direttore del Center for Green Chemistry and Green Engineering alla Yale University.

Leggi anche
Plastica
di Alessandro Leonardi 3 min lettura
Inquinamento
di Manuela Sicuro 4 min lettura