Economia

Il capitalismo degli stereotipi

Il 97% delle maestre d’asilo statunitensi è donna, mentre il 98% dei meccanici è uomo. Le discriminazioni di genere (in gergo tecnico, segregazione orizzontale) colpiscono anche le professioni: ma perché i dati Usa dovrebbero farci preoccupare?
Credit: cottonbro studio
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 5 min lettura
13 febbraio 2024 Aggiornato alle 06:30

Il Bureau of Labour Statistics degli Stati Uniti pubblica la nuova analisi del mercato del lavoro disaggregata per genere. E ancora una volta, i dati non ci stupiscono.

Ecco qualche esempio: il 99% delle specialiste nella cura della pelle è donna, così come il 97% delle maestre d’asilo, il 96% delle segretarie e il 96% delle igieniste dentali. Nell’altra metà del cielo, è uomo il 99% dei muratori, il 98% dei meccanici e il 98% dei disboscatori (sì: negli Stati Uniti si rileva anche questo!).

In letteratura, la chiamiamo segregazione orizzontale: nella cultura patriarcale (cioè, ripetiamolo ancora una volta, in tutte le culture a noi note), alcuni lavori sono ritenuti adeguati per gli uomini e altri per le donne. E questo è vero anche per molto altro: basti pensare a comportamenti e norme sociali che impongono un canone diversificato per maschi e femmine e che orientano le convinzioni e i comportamenti del 91% della popolazione mondiale (a dirlo è l’ultimo Social Gender Norms Index dell’Undp, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo).

Ma torniamo al lavoro. In alcuni casi, si dirà, questa divisone ha a che fare con la forza fisica. Ammesso e non concesso che sia così, cosa possiamo dire allora degli altri dati contenuti nel documento del Bureau of Labour Statistics? Perché, a quanto pare, tra i chirurghi la componente femminile è ferma al 20% e questo non è un lavoro che dovrebbe essere diviso per genere in base alla forza fisica, ma vado oltre. Tra gli avvocati, le donne sono il 40%, tra i gli amministratori delegati il 31%, tra i piloti d’aereo l’8%. Mi viene difficile pensare che non si tratti di un tema culturale.

E in Europa come siamo messe? Abbiamo i dati Eurostat sui Paesi membri che fotografano una situazione simile. Nel 2022, i settori ad alta tecnologia, che ancora una volta si sono confermati come motori cruciali della crescita economica, occupano quasi 10 milioni di persone nell’Ue, ovvero il 4,9% dell’occupazione totale. E però, le donne rappresentano solo il 33% della forza lavoro in questo settore. Ancora, sono il 93% dei lavoratori dell’infanzia e degli assistenti degli insegnanti, l’89% del totale di infermieri e ostetrici e l’88% degli insegnanti della scuola e della prima infanzia.

L’Italia, ovviamente, non fa eccezione. Secondo il Report L’occupazione femminile del Servizio Studi della Camera dei Deputati, la segregazione orizzontale è particolarmente persistente sui lavori più retribuiti, come quelli che ricadono nell’ambito delle discipline Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics).

Dal momento che, stando ai dati che abbiamo appena visto, quello statunitense non è un caso isolato, perché il fatto che gli stereotipi di genere continuino a modellare il mercato del lavoro anche (e soprattutto) negli Usa dovrebbe invece destare la nostra preoccupazione?

Perché quello degli Stati Uniti è il modello di capitalismo al quale tutti gli altri Paesi, con gradi diversi, guardano da tutto il resto del mondo. E quello che questi dati dimostrano è (e continua a essere) contrario allo spirito capitalistico. E così, mentre la prospettiva di crescita continua che anima il capitalismo dovrebbe stimolare l’utilizzo di tutti i talenti possibili, in modo da garantire sempre maggior profitto, quello che a livello globale si continua a fare è produrre meno ricchezza di quanto si potrebbe perché lo stereotipo vince sopra ogni altro fattore.

E anziché sviluppare i talenti in una prospettiva di reale merito, assecondando le inclinazioni di ogni persona in modo che possa contribuire al suo meglio alla crescita economica, si insiste nell’immaginare alcuni lavori declinati esclusivamente al femminile e altri esclusivamente al maschile, condannando il modello produttivo a una soluzione che è meno che efficiente.

Insomma, gli stereotipi di genere rendono ciechi anche i capitalisti più puri. Un motivo in più per immaginare un nuovo capitalismo?

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