Ambiente

La certificazione B Corp si arricchisce di nuovi criteri

Anna Puccio, managing director di B Lab Italia, ha spiegato a La Svolta come si ottiene la B Corporation, perché rappresenta un traguardo importante per consumatori e aziende e in cosa consiste la loro seconda consultazione. C’è tempo fino al 26 marzo per partecipare al sondaggio ed esprimere la propria opinione
Anna Puccio, managing director di&nbsp;<i>B Lab Italia&nbsp;</i>
Anna Puccio, managing director di B Lab Italia 
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
17 marzo 2024 Aggiornato alle 11:00

B Lab Italia, l’organizzazione no profit che coordina il movimento delle B Corp nel Belpaese, ha annunciato a gennaio una seconda consultazione sugli standard necessari per ottenere la certificazione B Corporation, questa volta estesa a tutte le aziende italiane.

Infatti, dopo una prima consultazione rivolta esclusivamente alle imprese già in possesso della certificazione, la nuova iniziativa di B Lab punta a coinvolgere ancora più aziende nella formulazione dei criteri per l’ottenimento della B Corporation. Fino al 26 marzo, infatti, è possibile partecipare, consultando la bozza completa degli standard e rispondendo al sondaggio.

Ma cos’è, cosa attesta, come si ottiene una certificazione B Corp e perché dovrebbe interessare tanto le imprese quanto i consumatori? La Svolta ne ha parlato con Anna Puccio, managing director di B Lab Italia.

Grazie a un percorso trasversale, variegato e internazionale in ambito di governance, innovazione sociale e sostenibilità, Puccio si è costruita negli anni una forte esperienza manageriale nei settori del largo consumo, delle telecomunicazioni e dei servizi digitali in realtà come P&G, Sony Ericsson e Sonera Zed. Dal 2006, inoltre, ha ricoperto ruoli di governo non esecutivi in società quotate come Amplifon, Buongiorno, Luxottica, e fondazioni d’impresa, sia accademiche (come la Fondazione Ca’ Foscari dell’Università di Venezia) che impegnate nella tutela ambiente e della flora e della fauna (come WWF Italia e Fondazione WWF Italia).

Dopo la sua esperienza nel mondo delle telecomunicazioni e in quello del sociale, come è stato l’ingresso nel settore della sostenibilità?

Con 15 anni alle spalle nel settore del largo consumo, nel 2009 ho mosso i primi passi nel mondo della sostenibilità con l’esperienza nella Cooperazione Sociale Nazionale. Negli anni ho avuto la possibilità, e sento di dire anche le capacità, di mettere a sistema le competenze acquisite nell’ambito della comunicazione e la conoscenza profonda dei consumatori e dei clienti.

Come nasce B Lab? Qual è il contesto internazionale in cui si muove e come mai ha scelto di fare il suo ingresso in Italia?

Tra il 2005 e il 2006 negli Stati Uniti, per volontà di un gruppo di persone impegnate nell’imprenditoria e nell’investment banking e accomunate da un’idea innovativa in campo economico. Si chiedevano come trasformare il mercato e la competizione in qualcosa che avesse degli effetti concretamente positivi sul Pianeta e hanno avuto l’intuizione geniale di avvicinare le aziende a questa filosofia, di creare un network e una griglia di principi e parametri da rispettare per farne parte, dimostrando in maniera dinamica e costante nel tempo di essere una realtà innovatrice su più fronti. Questa rete no profit piano piano si è espansa in tutto il mondo. Nel 2010 si costituisce in Europa e in Italia dal 2023 rappresenta già una comunità attiva in oltre 18 Regioni, con una prevalenza al centro-nord.

Cos’è, quindi, la certificazione B Corp?

Un credo. Non voglio apparire retorica, ma penso occorra sentire una vera e propria “chiamata di senso”. Il punto non è ottenere un vantaggio competitivo a livello commerciale, ma il volersi migliorare rispetto ad alcuni valori universali, come l’ambiente, i diritti umani e civili, la trasparenza e la buona governance. La certificazione non è un prodotto da acquistare o un accordo tra aziende private, ma una validazione a 360 gradi della sostenibilità di un’impresa.

Come funziona? Come si può ottenere?

Esiste un questionario gratuito online che non solo le imprese, ma anche gli studi professionali o i liberi professionisti, possono compilare e in base al punteggio (almeno 80 punti) si è ammessi alla fase successiva, cioè al vero e proprio processo di certificazione, valido anche a livello internazionale, e che prevede una verifica preliminare e una prima valutazione, una seconda verifica e la certificazione finale. Si tratta di un procedimento interamente gestito da un ente terzo neutrale. In Italia, B Lab svolge gratuitamente un ruolo di assistenza e accompagnamento alle aziende che desiderano intraprendere il percorso.

Quindi, nello specifico, di cosa vi occupate?

Per esempio, forniamo un supporto pratico nella comprensione del questionario e chiariamo eventuali dubbi sui parametri e gli standard fissati. Se un’azienda non è pronta potrà sempre ritentare, ma si tratta di un processo di rivoluzione culturale che richiede del tempo, non di una semplice correzione di un test non superato. Non è un caso che diverse grandi aziende, come la San Pellegrino, una volta certificate, ci abbiano detto: «Questa è stata di gran lunga la certificazione più difficile di tutte, perché richiede una visione d’insieme che non sempre le imprese hanno».

A che punto è l’Italia con la certificazione B Corp? Quante sono le aziende coinvolte e che cambiamento sta producendo nel panorama nostrano?

Se pensiamo all’eredità lasciata da personaggi come Adriano Olivetti, il tessuto industriale italiano promuove un tipo di imprenditoria molto legata ai territori, il che rappresenta un grande punto a favore nell’ambito della certificazione B Corp. A mio parere, quindi, la situazione in Italia è migliore rispetto a molti altri Paesi europei su questo fronte. Se pensiamo che in Francia o in Svizzera sono 300 le aziende che si sono avvicinate al movimento B Corp, e che in Inghilterra sono già oltre 2000, c’è un grande margine di crescita. Parlando di numeri, globalmente, delle oltre 8.000 B Corp sparse per il mondo (con un fatturato complessivo di 240 miliardi di dollari) quasi 3.500 si trovano in Europa e in Gran Bretagna e registrano un fatturato di oltre 100 miliardi di euro. Oggi l’Italia conta 266 B Corp che occupano oltre 22.000 persone e generano un fatturato che supera i 13 miliardi di euro.

Volendo fare delle previsioni, quante aziende, secondo lei, entro il 2030, avranno una certificazione B Corp?

Considerando che in media sono necessari almeno 2 anni per ottenere la certificazione, da qui al 2030 dovremmo registrare almeno “3 cicli di certificazione”. Direi che, auspicabilmente, tra 6 anni l’Italia potrebbe avvicinarsi ai numeri odierni dell’Inghilterra, cioè 1.000/1.500 aziende.

In Italia esistono dei “competitor” della certificazione B Corp?

Esistono varie certificazioni, per esempio quelle Iso, che attestano la qualità dei prodotti o quella di Fairtrade: tutti sistemi di validazione di grande livello, di cui condividiamo molti parametri, ma nessuna che abbia una visione a 360 gradi.

Ha usato spesso la parola “innovativo”: c’è un legame tra sostenibilità e innovazione? Vanno sempre di pari passo o dovrebbero farlo?

L’innovazione è un concetto che si declina in molti modi: esiste senz’altro l’innovazione tecnologica, ma anche un’innovazione sociale, lì dove la tecnologia viene applicata a problematiche sociali. Ed è senz’altro una forma di innovazione, nell’ambito della governance, il passaggio alle stakeholders.

Arriviamo al tema di questi giorni. B Lab ha lanciato diverse settimane fa la seconda consultazione sugli standard richiesti per l’ottenimento della certificazione B Corp. Ci racconta l’iniziativa e a cosa potrebbe portare?

A proposito di innovazione, un aspetto fondamentale è l’incessante ricerca di automiglioramento e la continua evoluzione degli standard. Siamo passati da 5 a 9 categorie rispetto alle quali le aziende dovranno misurarsi per esaminare il proprio impatto. L’idea è che una volta ottenuta la certificazione, il lavoro non sia affatto finito. Anzi, si entra in un mondo di aziende e comunità interdipendenti, in cui occorre un costante aggiornamento di pratiche e principi.

Dal punto di vista di una persona che, come lei, lavora attivamente nell’ambito dell’economia circolare, il mondo della sostenibilità e dell’ambiente, italiano e internazionale, a che punto è? Come viene percepito, secondo lei, da chi non ne fa parte?

Basta osservare una città come Milano, che negli ultimi 20 anni ha visto un netto miglioramento della raccolta differenziata. Dall’inizio, quando ci si alza la mattina, c’è l’idea, molto più frequente e radicata rispetto a prima, di evitare lo spreco. Quasi tutti oggi sanno dare una definizione, almeno approssimativa, di “sostenibilità’. Sono tutti elementi che mi fanno ben sperare.

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