Città

Le città 30 e l’elogio della lentezza

Ridurre i limiti di velocità significa abbattere il numero dei decessi su strada, che per il 70% avvengono in aree urbane. Ma ci sono anche altri benefici
Credit: Petr Slováček  

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7 febbraio 2024 Aggiornato alle 07:00

Dopo un periodo di transizione durato sei mesi, il 16 gennaio l’amministrazione comunale di Bologna ha introdotto il limite di velocità a 30 chilometri orari in gran parte del proprio territorio urbano.

Un’iniziativa del sindaco Matteo Lepore che nelle scorse settimane ha fatto molto rumore, anche in seguito alla reazione del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, che l’ha definita “una scelta ideologica insensata”.

“Tra le giustificazioni (ai nuovi limiti, ndr) – spiega Salvini – il sindaco ne ha data una straordinaria: perché così, andando più piano, ci sarà meno rumore e i bolognesi potranno sentire il canto degli uccellini… il canto degli uccellini… lasciamo lavorare chi deve lavorare, dai!”.

Quindi è stata la volta del vice ministro Galeazzo Bignami (Fratelli d’Italia) che ritornando sul tema, pochi giorni fa ha annunciato il varo di una direttiva ministeriale per disapplicare le delibere comunali e fermare le “Città 30”. Il plurale è d’obbligo perché Bologna non è l’unico comune italiano ad aver avviato questa rivoluzione. Il primo ad averla sperimentata nel nostro Paese, anche se solo in un’area ristretta del proprio territorio comunale, è stata la vicina Cesena già nel 1998.

Poi c’è Olbia che nel 2021 è diventata anch’essa “Città 30” imponendo il divieto di superare i 30 chilometri orari in tutto il comune, frazioni comprese. E a queste seguiranno Parma che istituirà il nuovo limite entro il 2024, Milano il cui consiglio comunale ha già votato favorevolmente, Firenze che ha elaborato e in parte applicato il proprio piano di viabilità a velocità ridotta e Roma che nel 2026 dovrebbe veder coperto dal nuovo limite il 70% del territorio cittadino.

E tutto ciò naturalmente mette in allarme i commercianti, i trasportatori, i fattorini e più in generale una parte di automobilisti che già tremano all’idea di doversi veder costretti a procedere a “passo di ciclista”. Peccato che a causa degli incidenti automobilistici nel nostro Paese ogni anno muoiono oltre 3.000 persone. Solo nel 2022 i decessi su strada sono stati 3.159 (in totale i sinistri sono stati 165.889); di questi 2.200, ovvero il 70%, si sono verificati all’interno della rete stradale urbana.

Secondo la ricerca Speed and crash risk condotta nel 2018 dal Forum internazionale dei trasporti, organizzazione intergovernativa con sede a Parigi che si occupa di trasporti e sicurezza stradale, a un aumento dell’1% della velocità media corrisponde un incremento del 4% di incidenti mortali. Da ciò si deduce (o si dovrebbe dedurre) che col decremento della velocità media diminuirebbero sensibilmente anche gli incidenti stradali.

Col passaggio del limite da 50 a 30 chilometri orari, ovvero con una riduzione del 40% della velocità media, l’incidentalità e la mortalità a questa associata verrebbero drasticamente abbattute, se non addirittura azzerate. Perché in base ai dati raccolti dal Dipartimento dei Trasporti statunitense, una persona eventualmente colpita da un veicolo che procede a una velocità di 20 miglia (pari a circa 32 km/h) ha 9 possibilità su 10 di sopravvivere all’impatto. Ma anche perché il pericolo di mortalità di conducente e passeggeri in caso di incidente automobilistico, è pressoché nullo fino a 20 chilometri orari, per passare al 3% di probabilità a 30 chilometri orari, al 17% a 65 chilometri orari e al 60% a 80 chilometri orari.

Ecco perché anche l’Organizzazione mondiale della sanità, nel suo Piano d’azione globale per la sicurezza stradale, si è espressa in favore di una limitazione della velocità a 30 chilometri orari nei centri abitati, stimando che in tal modo, a livello planetario, si potrebbero salvare almeno 25.000 vite umane da qui al 2035.

E a conferma della bontà del modello “Città 30”, vi sono le esperienze di chi ha già sperimentato con successo questa soluzione.

A Cesena il numero di incidenti è diminuito del 70%; a Helsinki, in Finlandia, divenuta “Città 30” nel 2019, la mortalità si è azzerata; a Graz, in Austria, nel 1992 il calo degli incidenti gravi risultava in calo del 24% già dopo i primi 6 mesi dal nuovo piano mobilità.

A Londra che dal 2020 ha portato il limite di velocità massima nel centro città a 20 miglia l’ora (circa 32 chilometri orari), gli incidenti sono diminuiti del 40% e i feriti del 70%; a Bruxelles, che ha introdotto un limite analogo nel 2021, i dati sull’incidentalità sono diminuiti del 20% e i morti del 25%. In Spagna, da maggio 2021, tutte le strade con una sola corsia per senso di marcia (ovvero il 70% di tutte le vie del Paese) hanno il limite dei 30 chilometri orari con un tasso di riduzione degli incidenti che ha superato il 40%.

In Francia, il limite di velocità di 30 chilometri orari è stato introdotto in diverse aree urbane o residenziali di città come Parigi, Grenoble, Lille, Nantes, Nizza, Montpellier e molte altre con una riduzione della mortalità stradale di circa il 70%.

Poi ci sono Stoccolma, Edimburgo, Amsterdam, Bilbao, Zurigo, Toronto…

Ovviamente i dati mutano in base alla cultura civica, alle dimensioni delle carreggiate, alla visibilità, alla qualità del manto stradale, alle condizioni meteorologiche, etc., ma l’equazione è chiara: minore velocità uguale minori incidenti, quindi meno morti sull’asfalto.

La salvaguardia della vita umana non sarebbe l’unico vantaggio di una rivoluzione di questo tipo; con la riduzione della velocità massima a 30 chilometri orari vedremmo calare i consumi di carburante, educheremmo i cittadini alla mobilità alternativa, abbatteremmo l’inquinamento dell’aria e quello acustico e i costi legati all’incidentalità stradale che in media pesano sui bilanci degli stati quanto il 3% del prodotto interno lordo (53 miliardi di euro in Italia).

E a chi già sbuffa all’idea di non poter pigiare l’acceleratore, ricordiamo che in base ai dati forniti da TomTom Traffic Index (servizio online che misura i tempi di percorrenza nelle città di tutto il mondo), in media già molti di noi viaggiano a meno di 30 chilometri orari. A Milano, che è la città più lenta d’Italia, si circola mediamente a 21 chilometri orari; a Roma, che la segue in classifica, la media è di 22,8 chilometri orari.

Insomma con la formula “Città 30” non avremo che da guadagnarci.

Le uniche a perderci sarebbero: le compagnie di assicurazione, che in seguito al crollo dell’incidentalità sarebbero costrette a premiare sempre più conducenti virtuosi con polizze via via più vantaggiose; le società petrolifere, che vedrebbero calare i loro profitti in virtù della minore velocità media dei mezzi in circolazione e quindi del minor consumo di carburante; e infine la già vacillante industria automobilistica, costretta a una ulteriore riduzione della produzione a causa della minore usura dei mezzi e del passaggio da parte di molti utenti a modalità di trasporto più sostenibili.

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