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I decessi da Covid-19 potrebbero essere il triplo di quelli stimati

18 milioni contro 6 milioni: è il confronto tra i dati dei decessi stimati nell’ultimo studio su Lancet e le cifre ufficiali diffuse dai governi. La differenza sta nel metodo, il cosiddetto “eccesso di mortalità”
Credit: Quinten Braem
Tempo di lettura 4 min lettura
15 marzo 2022 Aggiornato alle 07:00

Era l’11 marzo del 2020 quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità definì il Covid-19 una pandemia, la prima innescata da un coronavirus. «Nelle ultime due settimane», scriveva l’Oms in un comunicato, «il numero di casi al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte e il numero dei Paesi colpiti è triplicato. Ora ci sono più di 118.000 casi in 114 Paesi e 4.291 persone hanno perso la vita».

Due anni dopo, i dati sono aumentati considerevolmente, ma secondo una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet sarebbero numeri ampiamente sottostimati.

I dati ufficiali diffusi dai governi parlano di 5,9 milioni di casi, mentre lo studio ne stima il triplo: 18,2 milioni. Sarebbero diversi i fattori colpevoli di aver sottovalutato la diffusione del virus dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2021, il periodo di riferimento della ricerca dell’Institute for Health Metrics and Evaluation di Seattle, Washington: la mancanza di accesso ai test Covid-19, i registri delle cause di morte imprecisi, i rapporti tardivi o mancanti e, in alcuni Paesi, anche gli incentivi politici a sottostimare i casi, potrebbero aver ostacolato la resa di un bilancio totale esatto.

I ricercatori hanno utilizzato un metodo chiamato “eccesso di mortalità”, un termine utilizzato in epidemiologia e salute pubblica che si riferisce al numero totale di decessi per qualsiasi causa di morte durante una crisi inaspettata. È stato necessario confrontare i numeri registrati durante la pandemia con la media degli ultimi 5 anni, quando il Covid-19 ancora non aveva fatto capolino nella nostra vita quotidiana.

Potrebbero sembrare dati semplici da calcolare, eppure anche nei Paesi dai sistemi più sofisticati si tratta di numeri che subiscono molte variabili, come per esempio i cambiamenti nella popolazione, l’aumento dell’età media e dunque quello della mortalità nazionale annuale.

Alcuni governi, come quello dei Paesi Bassi, hanno etichettato come morti da Covid-19 solo quelle avvenute in ospedale dopo un tampone positivo. Il Belgio, invece, includeva anche coloro che avevano mostrato sintomi, senza aver per forza diagnosticato la malattia con un test.

In Italia i criteri per definire un decesso per Covid-19, consultabili in un rapporto Istat, comprendono la positività al tampone molecolare, la presenza di un quadro clinico e strumentale suggestivo di Covid-19, dunque, tra gli altri, tosse, febbre, perdita acuta di olfatto o gusto, la mancanza di una chiara causa di morte diversa dal Covid-19 e l’assenza di un periodo di recupero clinico completo tra la malattia e il decesso.

«Abbiamo cercato siti web governativi, report sviluppati da World Mortality Database, Human Mortality Database, e European Statistical Office (si tratta di agenzie di salute pubblica, ndr), e analizzato 74 Paesi e territori, più 266 località minori, di cui 31 in Paesi a basso e medio reddito», spiegano gli autori. Chris Murray, autore principale della ricerca e direttore dell’Institute for Health Metrics and Evaluation, ha dichiarato che la pandemia «ha aumentato il bilancio delle vittime globali per tutte le cause di circa il 16-17%».

La stima dell’Istituto è simile a quella del britannico Economist, che ha calcolato circa 18 milioni di morti in eccesso alla fine del 2021. Ma le cifre dell’Istituto di Seattle sono molto più precise: l’Economist ha un intervallo di incertezza del 95%, da 12,6 milioni a 21,0 milioni. L’errore dell’IHME è compreso tra i 17,1 milioni e i 19,6 milioni.

C’è, però, una differenza sostanziale tra le variabili: il modello della rivista britannica ne impiega più di 100, mentre quello di Washington solo 15. Si tratta, in entrambi i casi, di dati enormi e ben lontani dalla realtà.

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