Futuro

Covid-19 e danni al cervello: c’è una relazione

Uno studio dell’Università di Oxford pubblicato su Nature ha misurato, per la prima volta, quanta materia grigia si perde dopo un’infezione da Sar-CoV-2. Ma la lettura dei risultati divide gli esperti
Marjian Blan
Marjian Blan
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
8 marzo 2022 Aggiornato alle 18:00

Esistono prove evidenti di anomalie cerebrali da Covid-19. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla celebre rivista scientifica Nature in cui i ricercatori hanno fotografato il cervello di 785 partecipanti tra i 51 e gli 81 anni. E hanno scoperto che c’è una correlazione tra Sars-CoV-2 e i cambiamenti nella struttura cerebrale dei pazienti presi in considerazione.

Quello condotto dai ricercatori dell’Università di Oxford è lo studio più importante mai fatto finora sugli effetti neurologici del virus: la scoperta arriva a più di 2 anni dal primo contagio nel Regno Unito, datato 31 gennaio 2020. Il cervello di chi è stato colpito da Covid-19, anche in maniera lieve, ha mostrato una maggiore perdita di materia grigia - la componente del sistema nervoso centrale ad alta concentrazione di neuroni – e anomalie del tessuto cerebrale rispetto a chi, invece, non è stato infettato dal virus.

Molti di questi cambiamenti hanno interessato l’area correlata al senso dell’olfatto, ma gli studiosi non sanno spiegarsi il perché: «Dato che i cambiamenti anormali che abbiamo notato nei cervelli dei partecipanti infetti potrebbero essere in parte correlati alla loro perdita dell’olfatto, è possibile che il recupero di questo senso possa portare anche queste anomalie cerebrali a diventare meno marcate nel tempo», ha spiegato alla Bbc l’autrice principale dello studio, Gwenaëlle Douaud.

«Allo stesso modo, è probabile che gli effetti dannosi del virus - diretti o indiretti tramite reazioni infiammatorie o immunitarie - diminuiscano nel tempo dopo l’infezione. Il modo migliore per scoprirlo sarebbe scansionare nuovamente questi partecipanti tra uno o due anni».

Douaud, docente di Neuroscienze all’Università di Oxford, ha spiegato al sito Galileus Web di essere rimasta molto sorpresa nel vedere così chiare differenze anche nel cervello di chi ha avuto un’infezione lieve. Per arrivare a questi risultati, il team di Douaud ha valutato l’imaging cerebrale – la mappatura del sistema nervoso – di 401 persone affette da Covid-19 tra marzo 2020 e aprile 2021, sia prima dell’infezione che in media 4 mesi e mezzo dopo. Poi ha fatto lo stesso con 384 persone non infette e simili per età, classe socio-economica e fattori di rischio, come pressione sanguigna e obesità. I 785 partecipanti fanno parte della Uk Biobank, un database sanitario governativo che viene aggiornato dal 2012.

La perdita di materia grigia è un fenomeno normale per chiunque, ogni anno: Douaud ha spiegato che in media si perde dallo 0,2 allo 0,3% ogni 365 giorni in quelle aree del cervello legate alla memoria. Perché le persone invecchiano, e con loro la materia grigia.

Le persone affette da Covid-19, però, hanno perso una ulteriore percentuale di tessuto: dallo 0,2 al 2%. E c’è stata anche una riduzione dello 0,8% in un’altra regione del cervello collegata alla coordinazione dell’attività muscolare.

L’imaging non è stato l’unico metro di giudizio dei ricercatori: i partecipanti sono stati sottoposti al Trail Making Test, uno strumento utilizzato per aiutare a rivelare i disturbi cognitivi associati alla demenza senile. Chi ha perso più tessuto cerebrale non ha superato con la lode neanche questo esame. «È davvero difficile conoscere l’impatto clinico a lungo termine e l’impatto sulla qualità della vita in una situazione come questa», ha spiegato all’emittente britannica il dottor Richard Isaacson, neurologo e direttore del Florida Atlantic University Center for Brain Health. Il cervello, infatti, può essere influenzato da molti meccanismi diversi. E secondo il dottor Alan Carson, professore di neuropsichiatria presso il Center for Clinical Brain Sciences dell’Università di Edimburgo, «Quello che questo studio mostra quasi certamente è l’impatto, in termini di cambiamenti neurologici, ma non credo che ci aiuti a capire i meccanismi alla base del cambiamento cognitivo dopo l’infezione da Covid».

La divulgatrice scientifica Roberta Villa, che sul suo profilo Instagram aggiorna i suoi followers sugli studi che vengono pubblicati sulle riviste scientifiche a tema Covid-19, ha voluto sottolineare che si tratta di «un dato statistico, nel contesto di un progetto di ricerca, che valuta un prima e un dopo, con uno scostamento rispetto a una media. […] Comprende solo ultracinquantenni e offre una fotografia di un determinato momento alcuni mesi dopo l’infezione. Non sappiamo se andrà peggiorando o migliorando col tempo».

Resta il fatto, come continua Villa, «che il virus continua a sorprenderci, mostrandoci come ci siano ancora tante cose da scoprire». Covid-19 è una malattia complessa, in parte ancora sconosciuta. Anche dopo più di due anni dal primo caso.

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