Futuro

Spazio: scoperto il buco nero più antico

Identificato grazie al telescopio James Webb, ha 13 miliardi di anni e si trova nella galassia GN-z11. Tra le sue peculiarità: le grandi dimensioni e la sua capacità di catturare materia cosmica molto più velocemente rispetto agli altri corpi celesti
La galassia iperluminosa GN-z11 e il suo buco nero
La galassia iperluminosa GN-z11 e il suo buco nero Credit: NASA / ESA / P. Oesch, Yale University / G. Brammer, STScI / P. van Dokkum, Yale University / G. Illingworth, University of California, Santa Cruz / Sci.News
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20 febbraio 2024 Aggiornato alle 09:00

A pochi giorni di distanza dalla scoperta del Grande Anello e a 13 miliardi di anni dalla sua nascita, l’universo ci ha regalato un altro enigma cosmico: il buco nero più antico mai osservato. Individuato grazie al telescopio spaziale James Webb (Jwst) della Nasa, questo corpo celeste ha rivelato la sua presenza ben 400 milioni di anni dopo il Big Bang.

La scoperta, pubblicata recentemente sulla rivista Nature, è frutto della collaborazione di un gruppo internazionale di ricercatori, capitanato dall’astrofisico italiano Roberto Maiolino della University of Cambridge e formato anche da altri scienziati italiani che lavorano in diverse parti del mondo, con il significativo contributo della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Un “nuovo” buco nero

Oltre a essere il buco nero più antico, però, il “nuovo” arrivato risulta sorprendentemente massiccio per gli standard dell’universo primordiale, con dimensioni che raggiungono diversi milioni di volte la massa del Sole.

Un dato, questo, che solleva interrogativi fondamentali e mette in discussione le teorie sulla formazione e sulla crescita dei buchi neri. «I nuovi dati ottenuti con Jwst hanno escluso alcune delle teorie più consolidate sulla formazione di questi buchi neri, e ciò ha richiesto lo sviluppo di nuove ipotesi - spiega Maiolino - Due scenari emergono come più plausibili: i buchi neri potrebbero essersi formati già molto massicci, attraverso il collasso gravitazionale di enormi nubi di gas primordiale; in alternativa, i primi buchi neri potrebbero essere derivati dal collasso delle prime stelle, nascendo relativamente piccoli e crescendo rapidamente, superando le aspettative delle ipotesi precedenti».

Questa scoperta, dunque, mette in dubbio le convinzioni degli astronomi, che ritenevano che i buchi neri supermassicci, come quelli al centro della Via Lattea, avessero raggiunto le loro dimensioni nel corso di miliardi di anni. Tuttavia, il buco nero appena scoperto presenta un paradosso: l’universo aveva appena superato il miliardo di anni di età quando questo enigmatico oggetto era già completamente formato.

Come tutti i buchi neri, anche questo, individuato dal James Webb, si nutre di materiale proveniente dalla galassia che lo ospita, ma c’è qualcosa che lo rende particolarmente affascinante: la sua voracità. Questo, infatti, inghiotte materia a un ritmo notevolmente superiore rispetto ai suoi “parenti” nati in epoche successive. La giovane galassia in cui si trova il buco nero, chiamata GN-z11, brilla intensamente proprio grazie alla relazione energetica con lo stesso.

Ma se il buco nero dà brillantezza a quella galassia di dimensioni ridotte (più piccola della Via Lattea), sembra che, allo stesso tempo, ne stia compromettendo il suo sviluppo: il processo di vorace ingestione di gas la sta mettendo a repentaglio, fenomeno che potrebbe portare alla morte del buco nero stesso, in quanto rischia di rimanere privo della sua fonte di “cibo”.

Ora i ricercatori guardano al futuro con speranza, e puntano a ulteriori osservazioni del James Webb per individuare piccoli “semi” di buchi neri, offrendo preziose informazioni sui processi di formazione.

«Ci sono diversi programmi osservativi con Jwst che mirano a trovare buchi neri ancora più antichi. È probabile che nei prossimi anni, forse anche nei prossimi mesi, verranno rivelati oggetti ancora più antichi di quello appena scoperto, gettando luce su nuovi capitoli dell’evoluzione cosmica», conclude Maiolino.

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