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Taiwan: chi è il nuovo presidente William Lai?

La sua elezione ha generato malcontento a Pechino, che vorrebbe governare sull’isola. Il Partito comunista cinese l’ha definito un “piantagrane” e “separatista”
Credit: EPA/DANIEL CENG
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16 gennaio 2024 Aggiornato alle 10:00

Per la Cina la sua figura è «un grave pericolo per i taiwanesi», ma i suoi concittadini lo hanno premiato dandogli il 40,2% dei consensi. William Lai (nome originale Lai Ching‑te) è stato eletto lo scorso week-end presidente di Taiwan, ma il suo insediamento ufficiale avverrà a maggio.

Votando il leader del Partito democratico progressista (Dpp) i taiwanesi hanno mandato un chiaro messaggio a sostegno dell’autonomia dell’isola a tutto il mondo. E in particolare alla Cina. Non a caso quelle nell’isola asiatica erano tra le elezioni più attese di quest’anno, per capire che direzione prenderanno i rapporti tra Cina e Taiwan e, quindi, anche tra Cina e Stati Uniti.

Per comprendere perché l’elezione di Lai è così importante bisogna prima di tutto fare un passo indietro: nel 1949 al termine della guerra civile cinese tra comunisti e nazionalisti, quest’ultimi fuggirono sull’isola di Taiwan. Col tempo questo territorio ha sviluppato un proprio modello politico molto simile a quello delle democrazie occidentali e in antitesi rispetto a quello della dittatura comunista che governa il resto del Paese.

Anche se a oggi sono solo 12 le Nazioni che riconoscono quello di Taiwan come Governo legittimo in Cina, quest’isola conserva un rapporto fortissimo con il mondo occidentale e in particolare gli Stati Uniti. Anche a causa della presenza a Taiwan dei semiconduttori, materiali fondamentali per il funzionamento di smartphone e tv. La situazione è da tempo resa difficile dal Governo di Pechino che punta a riannettere de facto l’isola.

Negli ultimi anni la tensione sullo status di Taiwan è cresciuta esponenzialmente. Tanto che uno dei candidati delle ultime presidenziali, Terry Gou, aveva detto di voler diventare presidente per far sì che «Taipei non possa diventare la prossima Ucraina», evocando chiaramente il rischio di un’invasione. L’elezione di un personaggio come Lai non è certamente una buona notizia per il Partito comunista cinese (Pcc).

Classe 1959, il nuovo presidente eletto è cresciuto insieme alla sua isola: nato in una famiglia povera, ha vissuto la miseria del dopoguerra, pagandone anche conseguenze personali come la morte del padre minatore, colpito dal crollo in una miniera durante gli anni ‘60, quando Lai era ancora un bambino.

Queste difficoltà non hanno interrotto il suo percorso. Anzi, «la sua inclinazione a perseverare e a non mollare è stata ovviamente influenzata dall’ambiente in cui è cresciuto», ha raccontato di recente Luo Wen-jia, ex ministro ed ex segretario generale del Dpp. Così Lai è prima riuscito a diventare medico e a studiare a Harvard per poi, nel corso degli anni ‘80, mettere da parte il camice e buttarsi in politica. Si è autodefinito «Un pragmatico lavoratore indipendentista di Taiwan».

Nel corso degli anni ha scalato le gerarchie politiche taiwanesi, fino alla vicepresidenza nel 2020 dell’isola. Già in questa posizione aveva scatenato le ire di Pechino, visitando nell’agosto dello scorso anno New York. Qui infatti era stato accolto dai rappresentanti dell’American Institute a Taiwan, l’ambasciata americana de facto nell’isola, mentre era in transito verso il Paraguay. Un incontro per cui la Cina aveva minacciato «misure risolute e forti».

Ora a Pechino i nervi saranno ancora più tesi. Lai è accusato dal Pcc di essere «un piantagrane» e «separatista». Inoltre era notoriamente considerato il candidato più autonomista. Lui ha promesso di voler «semplicemente» conservare «lo status quo». Ma sui calendari del presidente cinese Xi Jinping c’è un anno colorato rosso: il 2049, anno del centenario della Cina comunista e considerato l’ultimo utile per annettere definitivamente Taiwan al resto del Paese continentale. Se ciò accadrà e in che modo, dipenderà anche dalle azioni di Lai nei prossimi mesi.

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