Ambiente

Sette cambiamenti che abbiamo causato al Pianeta

Solo nel 2023, il disastro della diga di Kakhovka, la costruzione di isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale, le miniere di rame e le città ultra-tecnologiche nel deserto. Ecco come stiamo cambiando il volto della Terra
Gli effetti della diga di Kakhovka sull'ambiente
Gli effetti della diga di Kakhovka sull'ambiente Credit: Cover Images via ZUM 
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
12 gennaio 2024 Aggiornato alle 18:00

Sono ben pochi i luoghi in cui l’attività del genere umano non ha lasciato alcuna traccia.

L’Antartide resta ancora in buona parte incontaminato, anche se persino lì, tra i ghiacciai più remoti, a dispetto del gelo polare, il turismo cresce in maniera massiccia e costante.

Secondo le stime, circa il 95% della superficie terrestre presenta il segno inequivocabile del nostro passaggio e il 16% di quegli stessi territori risulta oggi profondamente cambiato.

Ogni anno, d’altronde, sviluppo urbano, agricoltura, progetti minerari, deforestazione, ma anche incidenti e disastri ambientali causati dal genere umano rimodellano incessantemente interi paesaggi ed ecosistemi, compromettendone il delicato equilibro.

Basti pensare alle tragiche conseguenze della distruzione della diga idroelettrica di Kakhovka sul fiume Dnipro.

Posizionata a circa 30 chilometri dalla città di Kherson, la struttura – alta 30 metri e larga diverse centinaia - era in grado di trattenere un serbatoio d’acqua di 18 chilometri cubi.

All’alba del 6 giugno 2023, una serie di esplosioni hanno fatto crollare la diga, causando il più grave disastro ecologico in Ucraina dalla fusione del reattore nucleare di Chernobyl, nel 1986.

Più di 80 villaggi e centri urbani inondati, oltre 10.000 persone sfollate, 20.000 ettari di terreni agricoli distrutti, 150 tonnellate di petrolio riversate sul territorio e decine di specie animali e vegetali strappate al proprio habitat. Non a torto, dunque, il Programma ambientale delle Nazioni Unite ha descritto l’episodio come un “disastro ambientale di vasta portata”, destinato a valicare i confini dell’Ucraina.

Prendiamo, poi, la vicenda di Pearson Reef nel Mar Cinese Meridionale, sino al 2021 un piccolo atollo, circondato da una folta schiera di barriere coralline. Come riporta la Bbc, il Vietnam, che occupa l’isola dalla fine degli anni ‘70, ha intrapreso recentemente un ambizioso progetto di ampliamento del territorio.

Dragando il terreno, il governo vietnamita ha aggiunto 66 ettari all’isola e ha costruito un porto al centro della barriera corallina. Ma, non è l’unico intervento del Paese sul territorio delle Isole Spratly.

Secondo l’Asia Maritime Transparency Initiative del Centro per gli studi internazionali strategici, che monitora l’ecosistema marino della regione, quest’anno il Vietnam avrebbe installato altri 133 ettari di terra su 5 nuovi avamposti insulari.

Per la costruzione di queste isole, a opera non solo del Vietnam, ma anche e soprattutto della Cina - che da tempo rivendica la propria sovranità su gran parte del Mar Cinese Meridionale e che lì ha edificato diverse basi militari strategiche - negli ultimi 10 anni sono stati distrutti 2.150 ettari di barriera corallina.

Anche le batterie a litio causano ingenti danni al suolo terrestre. Per soddisfare il vertiginoso aumento della domanda di litio per i veicoli elettrici e gli altri dispositivi alimentati a batteria - recentemente crollata dell’80%, come racconta Bloomberg, per la battuta d’arresto subita dalle auto elettriche in Cina - nel 2023 è partito il progetto Cauchari-Olaroz nella provincia di Jujuy, nell’estremità nord dell’Argentina, al confine con Perù e Bolivia.

Il litio viene estratto dalle saline del Sud America e dall’evaporazione della salamoia che se ne ricava, si ottiene il litio. Dalle immagini satellitari del territorio, sottratto senza consenso alle comunità dei kolla e degli atacamas, oggi si possono scorgere le tonalità verdi brillanti degli stagni di evaporazione.

Sulle pendici delle montagne Shan del Myanmar orientale, invece, l’avvento dell’acquacoltura su larga scala dei pomodori sta determinando l’erosione a poco a poco della superficie del Lago Inle, il secondo della Birmania per estensione: uno specchio d’acqua di circa 72 chilometri quadrati. Riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco, il lago è noto soprattutto per gli autentici ‘giardini galleggianti’ allestiti dagli abitanti dei villaggi che vivono sulle sue sponde.

Sulle Ande, poi, a quota 4.400 metri, si apre un’enorme voragine nel terreno. Si tratta della miniera di rame a cielo aperto di Quebrada Blanca, discretamente ampliata nel 2023 e che secondo i calcoli delle società di estrazione che la gestiscono, potrebbe fruttare loro 300.000 tonnellate di rame all’anno.

A 35 chilometri da Abu Dhabi, un’area desertica è stata convertita nella più grande centrale solare al mondo. Impressionanti i 4 milioni di pannelli solari puntati verso il cielo nell’Al Dhafra Solar Power Project, una struttura in grado di generare elettricità sufficiente ad alimentare 200.000 appartamenti.

Infine, una lunghissima linea dritta attraversa per 170 chilometri il deserto, nei pressi della costa occidentale dell’Arabia Saudita.

Sembra tracciata con il righello e potrebbe benissimo essere, osservata dalle mappe satellitari, una linea ferroviaria che conduce da Gayal a Ras Al Sheikh al Hamid. Invece, sono i tangibili progressi di The Line, una monumentale e futuristica smart city senza auto, in costruzione a Neom. La città si svilupperà come un edificio unico, stretto e lungo appunto 170 chilometri - e largo appena 200 metri - in grado di ospitare un totale di 9 milioni di persone.

Il colossale progetto saudita vuole portare alla luce una modernissima eco-città high-tech. Quanto alla reale sostenibilità ambientale e sociale dell’impresa, però, è ancora tutta da dimostrare.

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