Ambiente

Capodogli: vivono in società composte soprattutto da femmine

Gruppi con “culture” e “dialetti” diversi abitano il Pacifico. Ciascuna comunità ospita fino a 20.000 esemplari. Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science racconta i loro segreti
Credit: Ivan Stecko  

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11 gennaio 2024 Aggiornato alle 10:00

Fra qualche anno forse grazie all’intelligenza artificiale riusciremo a “parlare” con i cetacei. Decodificando i loro suoni e osservando grazie alle nuove tecnologie i loro comportamenti, in futuro diversi scienziati (come quelli dei progetti Cetacean Translation Initiative oppure Earth Species Project e tanti altri) sono convinti che potremo ottenere molte più informazioni sulla vita dei grandi abitanti nei mari.

Già oggi però la ricerca sta facendo - grazie a microfoni subacquei, tag satellitari e rilevamenti con droni - enormi passi avanti: uno degli ultimi studi, portato avanti dalla Dalhousie University in Canada, ci racconta per esempio la straordinaria capacità dei capodogli di vivere in “clan” e comunicare con specifici “dialetti”.

Lo studio ha infatti scoperto che questi grandi animali, oggi minacciati dall’inquinamento da plastica e quello acustico delle navi, così come dalle rotte marittime e la sovrapesca, vivono in gruppi con culture distinte, simili a quelli degli umani. Esaminando i loro “click”, i suoni con cui comunicano, gli esperti hanno scoperto che i capodogli si organizzano in gruppi anche di 20.000 esemplari che parlano una “lingua” tutta loro utile anche a organizzarsi anche per le loro abitudini alimentari.

Pubblicato sulla rivista Royal Society Open Science lo studio spiega che i “clan” sono distinguibili a seconda delle “vocalizzazioni” e come ha spiegato lo scienziato Hal Whitehead si possono contare fino a sette clan diversi nel Pacifico, per quasi 300.000 capodogli coinvolti.

«Si tratta di un numero enorme per entità culturalmente definite al di fuori dei moderni gruppi etnolinguistici umani», ha detto Whitehead raccontando come i vari gruppi potenzialmente potrebbero non incontrarsi e vivere vite ben distinte.

Ogni “tribù” ha un senso di appartenenza con marcate differenze, nonostante la medesima specie.

A colpire è poi il fatto che questi enormi gruppi sono quasi interamente composti da femmine: i maschi le visitano occasionalmente e solo per poche ore alla volta, spesso con l’unico scopo della riproduzione.

Allo stesso tempo le femmine si gestiscono come in una comunità, badando ai cuccioli (anche di madri diverse) e cacciando in profondità.

Secondo gli studiosi la società dei capodogli è abbastanza orizzontale: non c’è una vera leadership dall’alto in basso ma si passa per decisioni comunitarie a seconda delle situazioni. Una democrazia “lenta” e spesso “disordinata” dice Whitehead, ma dove molti comportamenti avvengono in contemporanea (come gli spostamenti) e con decisioni condivise.

Studiare questi comportamenti e la gestione dei clan stessi secondo gli esperti potrebbe anche portare a indizi sull’evoluzione, così come a paralleli con la società degli umani. Umani che a loro volta, soprattutto in passato quando si cacciavano i capodogli e si commerciava l’olio, hanno pesantemente influenzato la vita e lo sviluppi di questi cetacei dopo aver ucciso migliaia e migliaia di esemplari nei secoli scorsi.

La caccia ai capodogli infatti, ricordano gli studi, avrebbe influenzato a livello genetico diverse popolazioni, portando a una riduzione della fertilità e alla frammentazione dei gruppi, così come a dimensioni fisiche ridotte fra gli esemplari.

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