Ambiente

L’Italia finalmente ha un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici

Arrivato il via libera, a inizio anno, da parte del Ministero dell’Ambiente. Il Pnacc individua 361 azioni necessarie in un contesto di crisi futura per la fragile Italia. Legambiente: “Bene, ma ora servono risorse o rimarrà sulla carta”
Credit: Meteo Radar
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3 gennaio 2024 Aggiornato alle 17:00

Lo strumento c’è, ora bisogna suonare la musica. L’Italia, dopo sei lunghi anni di attesa, ha approvato il Pnacc, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.

Il piano, che già dicembre era pronto, ha ottenuto il via libera del Mase, Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e ora, grazie ai documenti pubblicati sul sito del ministero, sono stati resi pubblici alcuni dei passaggi di quello che è considerato il principale strumento per attuare la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del 2015.

Il piano dovrà rispondere a due esigenze: da una parte implementare l’azione per l’adattamento, attraverso oltre 360 iniziative individuate da tecnici e politici, dall’altra creare una sorta di documento guida che stabilisce le basi per una pianificazione di adattamento prima a breve e poi a lungo termine. Ad accompagnare il Pnacc c’è poi un documento che riassume, con uno sguardo all’Italia, le conoscenze legate agli impatti della crisi del clima nel nostro Paese da qui a fine secolo.

“L’approvazione del Pnacc rappresenta un passo significativo verso la costruzione di un futuro più resiliente di fronte alle sfide climatiche incombenti, ponendo le basi per un’azione integrata e tempestiva a tutti i livelli decisionali”, fanno sapere dal ministero guidato da Gilberto Pichetto Fratin.

In sostanza - in un Paese come il nostro fortemente colpito da crisi idrica, innalzamento dei livelli del mare, dissesto idrogeologico, alluvioni ed eventi estremi - il documento punta a definire i passi per “contenere la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici agli impatti dei cambiamenti climatici e aumentarne la resilienza”, il tutto inserito in un quadro di indirizzo nazionale.

In poche parole, è lo strumento per prepararci e adattarci a quello che verrà, anche se non vengono definiti con esattezza tempi, risorse e azioni specifiche a seconda dei contesti. Per essere efficace, il Pnacc deve inquadrare i problemi che abbiamo davanti. Quali sono, li mette nero su bianco un documento che elenca le criticità, fra le quali a esempio la siccità italiana (nel 2022 riscontrate anomalie del -40% di piogge a seconda delle aree), ma anche il costante innalzamento dei livelli del mare.

Le previsioni ci dicono che da qui al 2065 il livello dei mari italiani crescerà infatti di quasi 19 centimetri e soprattutto aumenterà la temperatura dell’acqua. Nelle proiezioni per il 2036-2065 si parla per esempio +1,9 °C nel Tirreno oppure +2,3 °C nell’Adriatico, temperature fortemente impattanti su ecosistemi, economie e vite.Se è ben noto il fatto che i nostri ghiacciai hanno perso il 30-40% del loro volume, il testo ricorda che anche la copertura nevosa nei fondovalle e nei versanti meridionali continuerà a calare (con buona pace dello sci in molte zone): fino a 2.000 metri si ridurrà di cinque settimane e di due tre settimane a 2.500 metri.Sempre a livello di previsioni, il Piano traccia poi nuovamente gli scenari relativi alle emissioni climalteranti, quelle che soprattutto a causa dell’uso di combustibili fossili impattano fortemente sul riscaldamento globale.

Bene, nella migliore delle ipotesi con una mitigazione “aggressiva” le emissioni potrebbero essere dimezzate entro il 2050; con politiche atte semplicemente a diminuire le emissioni entro il 2070 le concentrazioni di CO2 scenderebbero al di sotto dei livelli attuali (400 ppm); e infine senza una vera strategia nel peggiore dei casi entro fine secolo le concentrazioni di CO2 saranno triplicate o addirittura quadruplicate (840-1120 ppm) rispetto ai livelli preindustriali (280 ppm). In quest’ultimo caso, il quadro peggiore, nel 2100 la temperatura globale sarà pari a +4-5 °C rispetto ai livelli preindustriali.

Alla luce del contesto a cui dobbiamo prepararci, per adattarsi il Pnacc individua 361 misure di carattere regionale o nazionale che spaziano dall’agricoltura alla gestione delle risorse idriche o degli alvei. Vanno ancora definite, ma per ora si parla di tre tipologie di interventi: “soft” (non richiedono interventi strutturali e materiali diretti), “green” (soluzioni basate sulla natura) e infine “grey” (azioni materiali dirette su impianti, tecnologie o infrastrutture).Attualmente la maggior parte delle azioni previste nel Piano, oltre 250, è di tipo “soft”, lasciando intendere che serviranno dunque ulteriori sforzi di adattamento soprattutto visti i problemi di dissesto idrogeologico.

Nel Piano c’è poi la volontà di un forte adattamento per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche: si parla della necessità di incrementare la connettività delle infrastrutture idriche, di maggiore manutenzione, di migliorare l’irrigazione e la bonifica e la capacità di accumulo e di liberare gli alvei dei fiumi ostruiti. Parallelamente ci sono poi interventi legati all’agricoltura, che vanno dal migliorare e aiutare il settore grazie a protezioni per le gelate e per la grandine, sino ad incrementare il benessere animale.

Tutte azioni che richiedono però, come ricorda Legambiente, associazione che fra le prime ha commentato il via libera al Pnacc, determinate risorse economiche.

«Finalmente - chiosa Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente - dopo sei lunghi anni dalla prima bozza e dopo ben quattro governi, l’Italia ha approvato il Piano che raccoglie 361 azioni rivolte ai sistemi naturali, sociali ed economici. Si tratta della prima buona notizia con cui si apre questo 2024 e di un passo importante nella lotta alla crisi climatica che arriva dopo anni di ritardi e stalli. Ora però ricordiamo al ministro dell’Ambiente e al Governo Meloni che per attuare il Pnacc sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e a oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima Legge di Bilancio, altrimenti il rischio è che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta. Sarà, inoltre, importante approvare un Pniec, Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, con obiettivi più ambiziosi di produzione di energia rinnovabile e di riduzione di gas climalteranti al 2030; una legge sullo stop al consumo di suolo che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, semplificando anche la demolizione e la ricostruzione degli edifici esistenti ed entro tre mesi si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, con funzione di coordinamento tra i livelli di governo del territorio e dei vari settori».

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