Futuro

Burger, dati e postumi di una sbronza

Benvenuti in un nuovo strabiliante episodio di Black Mirror, più vero del vero. Dati personali in cambio di junk food animale? Così inizia questo 2024 all’insegna della sorveglianza digitale
Credit: Budrul Chukrut/SOPA Images via ZUMA Press Wire
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7 gennaio 2024 Aggiornato alle 06:30

Insomma, la storia è semplice, davvero semplice. Burger King ha annunciato che il primo giorno dell’anno avrebbe regalato cibo a chiunque fosse entrato in alcuni esercizi attrezzati appositamente, basandosi su un unico criterio decisionale: i postumi da sbornia. Mi correggo, evidenze fisiche dei postumi da sbornia, registrate e misurate grazie a scanner biometrici dotati di intelligenza artificiale.

Dunque, chiunque avesse manifestato pochi sintomi avrebbe ricevuto meno cibo, ma pur sempre qualcosa, mentre chi aveva evidenti e importanti segni da post sbronza ne avrebbe ricevuto in abbondanza. La campagna, promossa sotto il nome di “Hangover whopper”, per stessa ammissione della compagnia di fast food si sarebbe basata su parametri fittizi, quindi non realmente indicativi.

Ma il punto non è tanto che si tratti di una valutazione reale o meno quanto piuttosto il fatto che nel 2024, sia pensabile barattare una raccolta dati con un panino. Peggio, quanto sia normalizzata la pubblicizzazione dell’uso della raccolta dati biometrici a fini prettamente commerciali. Il marketing è al di sopra di tutto, persino del dibattito sulla sorveglianza digitale e di cosa si è disposti a fare per usarne i mezzi.

Ad esempio, tornando a Burger King e alle sbronze celebrative, c’è un modo più facile di incentivare bevute pericolosamente pesanti del promettere buoni per del cibo gratuito? I postumi da sbronza sono l’indicatore fisico dello stato di affaticamento del corpo dovuto all’avvelenamento da alcol che, nonostante ci piaccia pensare il contrario, fa veramente male. Incentivare una sbronza che lasci evidenti segni sul corpo significa incentivare le persone - giovani per lo più - a bere in maniera smodata, se non pericolosa. Dalle vomitate - meccanismo tipico del corpo che vuole espellere un eccesso - agli svenimenti, dal mal di testa martellante, alla fotofobia, dalla nausea allo scarso recupero dell’equilibrio, passando per i mal di stomaco, dolori articolari e ansia generalizzata, l’alcol regala effetti collaterali notevoli, ma che spesso si imprimono esteticamente in maniera molto minore rispetto alla sofferenza sentita. Pallore, gonfiore delle palpebre, visibile stanchezza, lentezza nei movimenti sono certamente percepibili, ma cosa restituiscono del reale stato dello smaltimento della sbronza? Poco.

Promettere cibo, junk food per di più, in cambio della riconoscibilità dello stato di una sbronza induce ad aumentare i consumi. E fosse solo questo. La commercializzazione dei dati sanitari sta incontrando forti restrizioni da parte di molti Stati, attualmente impiegati a capire come ottenere il massimo dalla fusione delle attività pubbliche con la tecnologia privata, un po’ per interesse, un po’ perché non possono virtualmente più farne a meno, non con le scarse risorse con cui possono competere.

Il problema assume proporzioni gargantuesche proprio perché i singoli individui tendono a cedere i loro dati in modo apparentemente spontaneo. Apparentemente, perché il più delle volte sembra che per accedere a un servizio - sia esso intrattenimento, formazione, informazione o commerciale - sia necessario accettare in parte o in toto la raccolta e la cessione dell’uso dei propri dati. Le compagnie li immagazzinano, li accumulano e poi li incrociano con altre raccolte dati, strutturando profili di consumo e condizionamento al consumo.

Le grosse piattaforme strutturali che operano queste raccolte dati, che si scopre nelle varie note a margine delle liberatorie essere principalmente dei soliti gruppetti, si promuovono come neutre, come servizi a disposizione di chi può pagare abbastanza per fruirne.

Di neutro, naturalmente, c’è ben poco, perché si tratta di acquisire potere economico, sociale, politico e digitale. Un potere che attualmente non è affrontabile da nessuno Stato o da nessuna comunità sovranazionale, nonostante la produzione legislativa voglia suggerire il contrario.

I dati biometrici sono una miniera virtualmente infinita di denaro e potere, e il futuro che si prospetta per noi è quello di una governance della salute gestita a livello sovranazionale da compagnie private.

Lo scopo apparente è migliorare la salute pubblica, certo. Non fosse per il fatto che nemmeno le strutture digitali o gli algoritmi che le modulano siano davvero neutri. Sono impregnati di ideologia estrattivista e discriminante. I metodi di rilevazione digitale dei sintomi patologici, a esempio, chissà perché sono scarsamente efficaci sulle persone razzializzate che però sono quelle sottoposte al maggior numero di profilazioni digitali criminalizzanti.

Un glitch di sistema o piuttosto la dimostrazione che la costruzione di piattaforme strutturali private è gestita da chi ha già più potere sociale? E se alla proposta di offrire dati biometrici in cambio di un trancio triturato e mal cotto di un cadavere di animale non umano la risposta è l’accettazione di termini e condizioni, una risata e una mangiata, appare evidente come il consenso ci viene gentilmente estorto.

Anche perché diciamolo, chi cercherebbe di approfittare maggiormente di questa proposta? Le persone giovani, ma anche chi normalmente fatica a comprare di che sostentarsi. Quindi da un lato c’è il potenziale per la raccolta dati di persone che abiteranno, produrranno e avranno di che pagare i servizi generati dalla raccolta stessa, e dall’altro per l’abuso delle soggettività marginalizzate come mezzo di studio e raccolta di capitale digitale.

Lo so, sembra quasi un ragionamento complottistico, me ne spavento io stessa, non fosse che è la nostra realtà, misurabile e riscontrabile. Il nostro personalissimo episodio di black mirror, senza titoli di coda.

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