Diritti

Lo stupro non è una questione di sesso, ma di potere

“Perché non ha urlato?”. Sono passati più di 40 anni da Processo per stupro, ma per molti aspetti siamo ancora fermi lì: sul banco degli imputati finisce, ancora e ancora, la donna che denuncia
Credit: Nikita Skripnik   

Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
15 dicembre 2023 Aggiornato alle 09:30

“Perché non ha usato i denti?”. “Perché non ha urlato?”. “Non si può fare una violenza sessuale senza i pantaloni”. Queste sono solo alcune delle domande e delle affermazioni dell’avvocata Antonella Cuccureddu, che difende Francesco Corsiglia nel processo in cui è accusato di stupro insieme a Ciro Grillo.

Che sembra dimenticare che, come ricorda Amnesty International, “restare inermi di fronte a una violenza sessuale è una reazione comune, fisiologica e psicologica. Spesso chi subisce violenza è incapace di opporsi all’assalto, spesso fino all’immobilità. Per esempio, uno studio clinico svedese del 2017 ha rilevato che il 70% delle 298 donne sopravvissute allo stupro, ha subito una “paralisi involontaria” durante l’assalto”. Per questo, se una vittima non ha opposto resistenza fisica allo stupro non significa automaticamente che fosse consenziente. Anche il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione perché il sesso senza consenso esplicito sia considerato stupro.

Queste domande, che ci sconvolgono all’alba del 2024, però, non sono che le ultime in un lungo elenco di interrogatori, sentenze, dichiarazioni che colpiscono le vittime e giustificano i colpevoli. 10 secondi sono troppi perché la donna non ci stesse o sono troppi pochi per essere considerati molestia.

Lei era troppo disinibita o, al contrario, troppo vestita (come dimenticare la famosissima sentenza dei jeans?). Lei aveva bevuto troppo oppure non si è lamentata abbastanza, ha morso (se lo avesse fatto, visto come vanno le cose, probabilmente sarebbe stata accusata di eccesso di difesa), non è scappata. In ogni caso, è sempre colpa sua.

Quello che emerge, oltre alla pervasività ancora drammatica della vittimizzazione secondaria, è quanto ancora lo stupro sia visto come una questione legata al sesso, quando non lo è: è legato al potere, al controllo. Per questo anche gli uomini belli, miliardari, desiderabili - sì, proprio quelli che vengono giustificati perché “possono avere tutte le donne che vogliono, figurati se hanno bisogno di stuprare” - lo fanno.

Lo stupro è “un processo cosciente di intimidazione con cui tutti gli uomini mantengono tutte le donne in uno stato di paura”, scriveva nel libro Against Our Will: Men, Women and Rape Susan Brownmiller. Non ha a che fare con l’orientamento o il desiderio sessuale: è un atto di potere e di controllo in cui la vittima viene brutalizzata e umiliata.

Non solo: l’atto dello stupro è normalizzato nella società patriarcale, in cui quella che viene definita “rape culture” (cultura dello stupro) rafforza l’idea che sia accettabile. Stupro che, non dimentichiamolo, è la punta dell’iceberg della violenza di genere, che si manifesta in gesti, comportamenti e azioni che affollano la nostra quotidianità.

Rape is about power, not sex, dicono gli anglosassoni. Non è la mancanza o la voglia di sesso o uomini preda di un bisogno incontrollabile di accoppiarsi. Altrimenti le vittime sarebbero solo donne sessualmente desiderabili, ma sappiamo bene che così non è: donne con disabilità - che nonostante vengano desessualizzate subiscono violenza più delle altre proprio in ragione della loro maggiore vulnerabilità - donne non attraenti secondo i canoni sociali, donne anziane e, seppur in misura minore, uomini, soprattutto “effeminati” o omosessuali - ma non esclusivamente - sono tuttə potenziali vittime di violenza sessuale.

E se è vero che in uno stato di diritto tutti devono avere una difesa e un giusto processo, non è accettabile che sul banco degli imputati ci sia, ancora e ancora, la donna che denuncia, la sua moralità, il suo abbigliamento, la sua presunta mancanza di capacità di opporsi. Sono passati 44 anni da quando Processo per Stupro ha aperto gli occhi su cosa accadesse nelle aule di tribunale (e più, in generale, di fronte alle Istituzioni che le vittime di violenza dovrebbero tutelare), ma per molti aspetti siamo ancora fermi lì.

Perché non ci dovrebbe più essere bisogno di dire che non è necessaria una pistola puntata alla testa perché non si sia nella condizione di dire “sì”. Che ci sono tanti tipi di armi, alcune meno fisiche delle altre ma non per questo meno potenti. E che, soprattutto, senza quel sì non può esserci consenso.

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