Ambiente

Milano: gli studenti protestano contro i legami tra università e aziende fossili

Quattro collettivi hanno aderito alla campagna internazionale End Fossil: Occupy! che vuole denunciare i rapporti tra gli atenei e i giganti dell’oil and gas
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27 novembre 2023 Aggiornato alle 17:00

«Nei luoghi del sapere non ci può essere più spazio per chi ha causato la crisi climatica». Dopo l’occupazione del Polo Carmignani dell’Università di Pisa, anche gli studenti dell’Università Statale di Milano hanno deciso di far sentire la propria voce contro gli accordi tra gli atenei e le grandi aziende che producono combustibili fossili.

Nella mattinata di oggi gli attivisti di Cambiare rotta, Ecologia politica, Statale impatto zero e Studenti indipendenti statale hanno organizzato una giornata per sensibilizzare la popolazione studentesca dell’università e tutti coloro che ci lavorano sui danni causati dall’industria fossile, sulla sua presenza all’interno degli atenei e su come i luoghi del sapere possano invece aiutare nella transizione verso un mondo più sostenibile.

Si tratta di una delle tante iniziative studentesche organizzate per raccogliere l’appello di End Fossil: Occupy!, una campagna internazionale che punta proprio a interrompere gli accordi tra il mondo universitario e le big del fossile.

«Come studenti delle università pubbliche non possiamo accettare che la nostra formazione sia finanziata o addirittura influenzata da grandi colossi industriali che sono stati e continuano a essere tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico», spiega Lisia Dalpiaz, studentessa 22enne di Geografia e attivista di Ecologia Politica. Per Dalpiaz difendere l’indipendenza delle università pubbliche è una questione fondamentale: «Gli studenti di oggi saranno i leader di domani e non possono essere ancora influenzati da forze che fanno parte di un mondo che può e deve cambiare».

Per sensibilizzare i loro compagni di università, gli attivisti hanno organizzato una mostra nell’atrio dell’università. Qui sono esposte foto dei danni causati a livello sociale e ambientale dalle grandi compagnie petrolifere.

Sono diversi gli studenti che si fermano a guardarle. Qualcuno fissa a bocca aperta le immagini di fiumi diventati neri e di incendi. «Ma davvero le nostre università collaborano con le aziende che provocano tutto questo?», chiede uno studente stupito.

Il tema della trasparenza dei rapporti tra università e società del fossile è, non a caso, un tema che sta molto a cuore agli attivisti. «Oggi ancora troppi atenei nascondono furbescamente questi legami in verbali incomprensibili o cercano semplicemente di occultarli», spiega Dalpiaz che per il futuro è però più ottimista perché «a luglio il Consiglio di Stato ha fatto un primo piccolo grande passo in questo senso».

L’attivista fa riferimento a una sentenza deliberata a luglio dal Consiglio di Stato che ha dato ragione a Greenpeace. L’organizzazione ambientalista chiedeva di «avere accesso a tutti gli atti, accordi e contratti – anche di tipo finanziario – che intercorrono tra Eni (e le società della sua galassia) e il Politecnico di Torino». Una richiesta accolta dall’ultimo grado della giustizia amministrativa italiana.

Nella giornata di oggi c’è stato anche un momento di formazione con ReCommon, associazione che da tempo realizza inchieste e dossier su temi ambientali e di giustizia sociale. Secondo Dalpiaz, «l’informazione può e deve fare molto di più su queste tematiche, realizzando inchieste e facendo comprendere a tutta la popolazione come quella climatica sia una crisi che va affrontata e risolta già da adesso».

Ma le università invece cosa possono fare? Per Tommaso Grilli, 23 anni, attivista di Ecologia Politica e studente di Geografia, «basterebbe che facessero quello che dovrebbero sempre fare: educare. I corsi sulla giustizia climatica iniziano finalmente a essere nell’offerta didattica e sono la testimonianza di quanto gli atenei possano aiutarci a rendere questo mondo più sostenibile».

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