Diritti

Soldi, potere, libertà

Come superare la dipendenza economica? Con la consapevolezza. E le reti di donne
Credit: Mathieu Stern
Azzurra Rinaldi
Azzurra Rinaldi economista
Tempo di lettura 4 min lettura
26 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Pare che una donna che parli di soldi sia volgare. Che insomma, non stia bene, perché la donna, se vuole essere femminile, deve essere angelicata. E anche un po’ infantile. Ed è così che ci vuole il canone patriarcale: graziose, silenziose, sorridenti, infantili e depotenziate.

E in tutto questo, spiace dirlo, il denaro gioca un ruolo cruciale.

La dipendenza economica

Secondo l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), si ha una situazione di dipendenza economica quando si verificano, contemporaneamente, tre condizioni.

La prima è che la persona dipendente economicamente non sia in grado di far fronte a un evento inatteso che richieda una spesa. Tipico esempio: si rompe la lavatrice. Ma se tu non guadagni o non puoi comunque gestire il denaro, non puoi chiamare un idraulico in autonomia: devi chiedere il permesso (ed i soldi) a qualcun altro. La seconda condizione è che deleghi strutturalmente la gestione del denaro a un’altra persona. Frase canonica: “no no, se ne occupa mio marito!”. Terza condizione: non sai se il tuo nucleo famigliare ha degli impegni finanziari a lungo termine. Avete un piano d’accumulo? O un finanziamento? Un mutuo? Chi si trova in condizione di dipendenza economica semplicemente non lo sa.

Ecco, se mettiamo insieme queste tre condizioni (che già ai miei occhi sono agghiaccianti se prese singolarmente), il 22% delle donne italiane è economicamente dipendente. Sarà così ovunque? No: in Germania è il 5%. E pure in Austria. In Slovenia il 7%. Ma perfino in Polonia, è meno della metà che in Italia e si ferma al 10%.

Cosa non funziona

Il fatto che le donne non parlino di denaro le tiene strutturalmente a distanza da quello che, in un’economia capitalistica, è il fondamentale strumento di libertà e di scelta. Voglio fare un corso di formazione? Mi servono i soldi. Voglio aprire un’impresa? Mi servono i soldi. Voglio interrompere una relazione che mi fa stare male? Mi servono i soldi. Certo, poi il tema è sempre quello: quali soldi? Perché se in Italia lavora poco più di una donna su due (e non essendo tutte le alte ricche ereditiere), di quale denaro stiamo parlando?

E poi, anche quando lavoriamo, a dire il vero, di denaro ne guadagniamo ben poco. Secondo l’ultimo Osservatorio Inps sul settore privato, rispetto a uno stipendio medio annuo di poco superiore ai 22.000€ (perché in Italia si continua a guadagnare in media veramente poco, non c’è nulla da fare!), gli uomini guadagnano 8.000 euro in più rispetto alle donne.

Il 15 novembre era, secondo l’Unione Europea, il giorno a partire dal quale le donne europee smettevano di guadagnare, fino a fine anno, a causa della disparità salariale.

Ecco, le donne italiane iniziano molto prima!



Una buona notizia

In un contesto come questo, in un Paese come il nostro, io ancora stento a capire come si possa non dirsi femministi. Come si possa affermare, anche solo in pubblico, che non si è a favore dell’equità di opportunità e che si supportano le discriminazioni di genere. Ciononostante, la stessa parola, femminista (una parola che reclama equità) viene definita come divisiva.

E anche nello stesso mondo femminista, il tema economico rischia di venire messo in secondo piano.

Oggi però, a cavallo di queste giornate così impegnative, mi sento di chiudere con una buona notizia. Sapete cosa sono i fondi femministi? Sono fondazioni che raccolgono ed erogano fondi per supportare l’equità di genere. Nel mondo sono oltre 40, mentre in Italia non ne abbiamo mai avuto neppure uno.

Ebbene, finalmente anche noi avremo il nostro fondo femminista: è nato Semia il primo Fondo delle donne italiano. E quindi, potremo disporre di un “portafogli” in grado di abbracciare e supportare in maniera intersezionale tutti i progetti di associazioni e organizzazioni in prima linea per contrastare concretamente la violenza di genere attraverso l’empowerment delle donne.

Ogni tanto, una gioia.

Leggi anche
25 novembre
di Valeria Pantani 9 min lettura
Gender gap
di Costanza Giannelli 5 min lettura