Diritti

Mondo verticale vs orizzontale: come cambiano le comunità

Spesso nei grattacieli vivono atleti, musicisti, imprenditori che, quando si affacciano dalle finestre, vedono tante teste indistinguibili, tutte con il collo piegato all’insù. A volte anche l’architettura è capace di dividere
Credit: Simone Hutsch 
Tempo di lettura 5 min lettura
10 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

I grattacieli si possono guardare da 2 direzioni. Dal basso verso l’alto, la prospettiva statisticamente più diffusa, e dall’alto verso il basso, punto di vista riservato a pochi. Gli sguardi si incrociano per linea, ma mai davvero.

Chi sta nelle torri vede piccoli corpi, guaine di tessuto epiteliale che si fonderebbero con il paesaggio non fosse per il continuo movimento. Dal basso non si notano certo i volti alle finestre, pensate apposta per schermare, essere allo stesso tempo schermo. Guardare senza essere visti. Lo noto spesso sotto al bosco verticale. La gente piega il collo e osserva. Si chiede, il più delle volte, chi abiti negli appartamenti del Bosco. Un modo tiepido per domandare a chi è accanto, o a sé stessi, chi è abbastanza ricco da potersi permettere quell’affaccio verticale.

Diversi siti offrono risposta alla domanda. Ereditieri, sportivi, musicisti, investitori. Una popolazione elitaria, che si rinchiude in un giardino elevato verso il cielo, lontano dai parchi orizzontali. Il Bosco è solo uno dei tanti. I grattacieli spuntano come funghi, si imbellettano sulle riviste di architettura, si promettono sostenibili, ma soprattutto, puntano a raggiungere altezze sempre maggiori. Vivere nel cielo, un’ambizione assoluta, un riflesso del ruolo che si occupa. Attenzione però, che siano grattacieli e non case popolari, quelle rimangono condomini qualsiasi. Il grattacielo, ha qualcosa in più oltre all’altezza. Per cominciare è il centro di uno spazio, un punto gravitazionale che modifica la geografia d’intorno.

Passandovi accanto si guarda verso la sua base o la sua cima, circondati da giardini, negozi o sbirciando dalle inferriate che chiudono queste comunità per èlite. Recintate perché solo chi le abita possa goderne. Il grattacielo, poi, non si limita a essere uno spazio abitato, ma è uno spazio da abitare. Il novero delle attività offerte è strabiliante, piscine, palestre, ma anche pre e dopo scuola e negozi. E sono gli stessi inquilini a completare le mancanze. Studi medici, avvocatoriali, notarili, fisioterapici, psicoterapici e persino astrologici. Nel lusso non devono mancare le conferme stellari che le cose andranno bene e che quel che c’è andrà meglio.

Fioccano dunque comunità verticali, che si ingegnano e impegnano per salire di più, verso vette ancora inesplorate di quell’ascensore sociale che, si sa, muove solo chi già stava a buon punto. E non mancano le èlite, i gruppetti condominiali che protestano, si incontrano e decidono e che, però, lo sanno anche loro, non saranno mai nulla a confronto di quelli che abitano all’ultimo piano.

Gli Attici, spesso anche a due piani, con terrazze che affacciano su viste che inglobano la città intera, sono l’apice, la ciliegina sulla torta, il desiderio supremo, il traguardo irraggiungibile. Gli Attici non sono solo gli spazi, ma anche chi li abita, soggetti separati dalla terra e da chi la calpesta, perché non sia mai, nemmeno per un istante, che il loro posto nel mondo sia messo in discussione.

Certo, anche loro devono scendere per recuperare la macchina estratta dal garage dal valletto di condominio, magari non devono andare a farsi la spesa, ma nella città ancora devono andare, anche solo per far ricordare la loro presenza. Per non rischiare di diventare creature mistiche, fantasmi senza corpo reale, immaginati ma poi dimenticati.

Purtroppo, quindi, anche per chi abita nei grattacieli, esiste ancora una parvenza di esterni. Per poco, però. Le città, si sa, sono sempre più invivibili. Caldissime, forni dal cemento sciolto, in estate, fredde e umide in inverno, incrostate di traffico e rumori. Di persone, persone arrabbiate, persone

che soffrono, persone che parlano, persone senza dimora, persone non ricche, persone in coda per un lavoro che odiano. La qualità dell’aria, poi, si salvi chi può. Nel vero senso del modo di dire. Si salvi chi può comprare una maschera Dyson capace di filtrare l’aria e chi può riempirsi la casa di purificatori, onde evitare di respirare l’inquinamento condensato nell’atmosfera che, dicono gli studi, è il quarto fattore di rischio di morte precoce.

Dunque, maschere da 699€ che creano una zona di purezza e suoni controllati (magari riproducendo apposite playlist calma nervi di Spotify) a parte, c’è chi sente l’urgenza di correre ai ripari. Scatta quindi la ricerca al modello più efficiente: le gated community statunitensi o i grattacieli con supermercati e ristoranti di Kuala Lumpur e Bangkok?

C’è persino Line, la città smart lineare in costruzione nella provincia di Tabuk, Arabia Saudita, con i suoi 500 metri di altezza e la sua area di 34 km², progettata per non produrre emissioni di carbonio e costituire il primo esempio di città autosufficiente, anti-caldo e anti-clima. Una città ermetica, abitata e abitabile da chi potrà accaparrarsi un posto nel nuovo mondo in cui la ricchezza continuerà a essere accumulata prosciugando tutto il resto. Dimenticando tutti gli altri, quelli che guardano dal basso, dall’ultimo posto, dalla base della piramide. Che saranno ancora più invisibili.

I maiali nel grattacielo nella periferia di Ezhou, Cina, allevati su 26 livelli, per un totale di 1,2 milioni di animali uccisi all’anno. Loro stanno nei banali condomini, peggio, in grattacieli da stoccaggio, magazzini che salgono in altezza per aumentare i volumi ed efficientare l’uso del suolo.

Nella salita furente, quanti saranno dimenticati? Probabilmente tutte e tutti. Tranne pochi. Un mondo verticale, che costruisce piani su piani usando come calce e cemento ossa vite e fatica altrui, per avvicinarsi a un cielo irraggiungibile, la vetta promessa dal capitale che, però, stando alla scienza, prima o poi dovrà pur crollare.

I grattacieli, allora, sarà bene averli guardati da lontano, non avervi indugiato e non avervi sperato.

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