Diritti

Onu: più di 114 milioni di persone sono in fuga

Secondo il report dell’Unhcr, guerre, violenze, violazioni dei diritti umani e disastri ambientali hanno reso 1 cittadino su 73 sfollato. Il numero dei rifugiati è cresciuto del 3% nella prima metà dell’anno
Credit: Sergey Ponomarev
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7 novembre 2023 Aggiornato alle 20:00

Sono più di 114 milioni le persone in fuga da guerre, persecuzioni, violenze o violazione dei diritti umani in tutto il mondo: è quanto emerge dal report di metà anno pubblicato dall’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati. Stando al rapporto si tratta di un dato in continua crescita: infatti, alla fine di giugno 2023, le persone sfollate erano circa 110 milioni, l’1% in più rispetto alla fine del 2022.

Eppure, un dato che restituisce meglio la portata del fenomeno, ma soprattutto il suo cambiamento nel tempo, è un altro: 1 persona su 73 è sfollata, mentre nel 2014 era 1 su 124 e nel 2004 1 su 162. Si tratta, dunque, di un dato destinato ad aumentare, non solo a causa di guerre e violazioni dei diritti, ma anche per colpa di disastri ambientali, come sta per esempio accadendo in Somalia, dove una forte siccità sta costringendo le persone a fuggire.

Rifugiati

Nel mondo, il numero totale di rifugiati è cresciuto di circa 1,2 milioni (3%) durante la prima metà del 2023, anche a causa della guerra civile scoppiata lo scorso aprile in Sudan che ha costretto migliaia di persone a lasciare le proprie case.

In totale, dalla fine di giugno si contavano circa 26 milioni di rifugiati in tutto il mondo provenienti da 10 Paesi: Siria, Afghanistan, Ucraina, Venezuela, Sud Sudan, Myanmar, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Repubblica Centrale Africana.

Nello specifico, la popolazione rifugiata siriana è in continua crescita: circa 6,5 milioni di persone. La maggior parte trova rifugio nei Paesi vicini, come per esempio la Turchia. Per quanto riguarda la popolazione afghana il numero di rifugiati ammonta a 6,1 milioni, mentre 5,9 milioni provengono dall’Ucraina.

Un’altra situazione in costante peggioramento è quella in cui versa il Sudan: la guerra civile scoppiata il 15 aprile 2023 contro le Rapid Support Forces ha peggiorato le condizioni di vita della popolazione. Oggi, infatti, questa regione sta sperimentando il più alto livello di crisi umanitaria da un decennio: sono 3,6 milioni le persone sfollate e la maggior parte vive in campi a Darfour.

Sempre secondo lo studio delle Nazioni Unite, circa il 75% delle persone in fuga è ospitata da Nazioni a basso o medio reddito. Si tratta di Paesi come per esempio Chad, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Sudan, e Uganda, Stati che rappresentano circa il 9% del totale della popolazione mondiale e solo lo 0,4 del prodotto interno lordo globale. Eppure, ospitano il 16% dei rifugiati, un numero spropositato rispetto alle loro potenzialità.

I Paesi con un reddito più alto, invece, durante la prima metà del 2023 circa, hanno ospitato circa il 25% della popolazione rifugiata. Inoltre, da gennaio a settembre sono state presentate 1,6 milioni di nuove domande di asilo individuali, il numero più alto mai segnalato.

Sfollati interni

Eppure, non tutte le persone sfollate riescono a uscire dai loro Paesi di origine. Infatti, il 57% è costretto a rimanere nel proprio territorio. Rispetto allo scorso anno le stime sono leggermente diminuite, ma probabilmente perché non ci sono molti aggiornamenti per quanto riguarda la situazione precaria in Sudan.

Infatti, in questa regione si è assistito al maggior numero di cambiamenti dallo scoppio della guerra civile in poi: la crisi ha portato a un ulteriore deterioramento della situazione umanitaria nel Paese, per questo milioni di persone hanno deciso di fuggire e circa 3 milioni di persone sono rimaste sfollate.

Una situazione simile si registra nella Repubblica Democratica del Congo, dove gli scontri tra l’esercito del Congo e il Movimento del 23 Marzo (uno degli ultimi movimenti ribelli sostenuti da Ruanda e Uganda), hanno portato circa 1,3 milioni di nuovi sfollati. In Somalia, invece, la causa principale delle 892.600 persone senza più un posto dove abitare non sembra essere né la guerra né la violazione dei diritti umani, piuttosto la forte siccità che sta colpendo il Paese.

In queste settimane l’attenzione, come conferma Filippo Grandi, l’Alto Commissario Onu per i rifugiati, «è rivolta alla catastrofe umanitaria in corso a Gaza. Ma, a livello globale, troppi conflitti proliferano o si intensificano, spezzando vite innocenti e sradicando le persone dalle proprie terre. L’incapacità delle comunità internazionale di risolvere i conflitti o di prevenirne di nuovi sta generando povertà e costringendo le persone a fuggire. È necessario analizzare a fondo la situazione, lavorare insieme per porre fine ai conflitti e permettere a rifugiati e persone in fuga di fare ritorno a casa e costruirsi una vita altrove».

Quali soluzioni?

A peggiorare il quadro già abbastanza critico è la fragilità delle varie soluzioni sperimentate dalle Nazioni. Infatti, nella prima metà del 2023, circa 404.000 persone sono tornate nei loro Paesi d’origine nonostante si tratti di luoghi ancora poco sicuri: per esempio, da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina, circa 1,2 milioni di persone fuggite sono tornate lì. Eppure la guerra è ancora in corso. E lo stesso vale per quanto riguarda la popolazione del Sud Sudan dove circa 148.200 rifugiati sono tornati nella regione.

Per quanto riguarda i reinsediamenti in Paesi terzi, invece, le statistiche parlano di circa 59.500 arrivi, sempre durante i primi 6 mesi del 2023. Si tratta di un incremento rispetto lo stesso periodo dello scorso anno, ma rappresenta comunque un numero troppo basso: i reinsediamenti, infatti, coprono solo il 3% delle 2 milioni di persone che, a livello globale, secondo l’Unhcr, ne avrebbero bisogno. Al contrario, è diminuito il numero di rifugiati e rifugiate che nella prima metà dell’anno ha ottenuto la cittadinanza: 20.500 persone, il 25% in meno rispetto al 2022.

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