Ambiente

Serena Giacomin: «Gli impatti di Ciaran erano previsti. Bisogna lavorare sul multilivello»

La fisica dell’atmosfera e climatologa racconta ai microfoni de La Svolta il suo punto di vista sugli effetti della tempesta che sta colpendo l’Italia
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3 novembre 2023 Aggiornato alle 19:00

Molti degli impatti di Ciaran erano stati largamente previsti. Eppure, secondo Serena Giacomin, fisica dell’atmosfera, climatologa e presidente dell’Italian Climate Network, è mancata una valutazione “multilivello” sui danni che una tempesta del genere, intensificata dagli effetti della crisi del clima, può portare sul nostro territorio. Così dalla Toscana sott’acqua alla Liguria sferzata da mareggiate e allagamenti, l’Italia dimostra ancora una volta di non essere pronta a reggere la potenza del nuovo clima. «Più che una transizione ecologica, per farlo capire serve una transizione culturale», sostiene Giacomin, raccontando la sua visione a La Svolta.

Che tipo di fenomeno meteorologico è quello che ha impattato sull’Italia nelle ultime ore?

La tempesta Ciaran che ha impattato pesantemente sull’Europa occidentale è una tempesta extratropicale, e non è in nessun modo un uragano. A livello termodinamico e in termini di struttura si tratta di una tempesta tipica per le nostre latitudini, ma certamente è particolarmente intensa, con raffiche di vento che hanno avuto caratteristiche eccezionali, da uragano, come quelle che si sono abbattute a 200 km all’ora sulla Francia. Dopo aver impattato velocemente sull’ Europa occidentale un ramo di questa tempesta ha colpito l’Italia portando molta pioggia. Tutto ciò era molto ben previsto da modelli e previsioni.

Alcuni sindaci in Toscana hanno però denunciato una mancata allerta rossa, oppure un ritardo nelle previsioni locali…

Essendo questa tempesta molto ben strutturata c’era un buon indice di affidabilità di previsione. Per dare un esempio, un temporale su piccola scala è meno prevedibile, mentre una perturbazione del genere si sapeva che avrebbe dato origine a criticità e le allerte sono state date per tempo. Ma all’interno di un fenomeno del genere certe piogge possono colpire più intensamente a livello locale, proprio come avvenuto in Toscana. Quando lì c’è stato il passaggio del ramo freddo della perturbazione si è creata una linea di instabilità che ha scaricato a terra oltre 150 mm di acqua nel giro di poche ore impattando in maniera forte sul territorio. In tal senso, non era semplice comprendere localmente gli impatti, se non lavorando sul multilivello.

Cosa significa lavorare sul multilivello? E perché è sempre più importante in questa fase di crisi?

Lavorare sul multilivello significa valutare i vari livelli, da quello atmosferico a quello dalle condizioni del territorio che a sua volta è determinato dalle perturbazioni precedenti, come per esempio le piogge sull’Appennino Settentrionale nelle stesse ore in cui a Milano esondava il Seveso. Quello che succede in termini di effetto dipende sempre da più aspetti che non vanno mai ignorati o sottovalutati. Un conto infatti è quello che puoi prevedere a livello atmosferico, come sul quantitativo di pioggia che localmente si può scaricare a terra e che a volte può essere difficile da calcolare con esattezza, se dieci chilometri più in là o più in qua. Un altro è calcolare i rischi dei territori. Noi calcoliamo infatti il pericolo associato a una perturbazione, il pericolo poi va messo insieme all’esposizione e alla vulnerabilità del territorio e da lì si calcola il rischio.

Rischi per i territori che aumentano con la crisi del clima? Preoccupa per esempio l’energia in gioco?

Certo, ovviamente a tutto questo si aggiunge la crisi del clima. Tempeste forti le abbiamo sempre avute e l’Italia è vulnerabile e fragile da sempre, dato che non c’è uno straccio di governo che si decida a mettere in atto azioni di prevenzione e adattamento, pur conoscendo i rischi. Non neghiamolo: ogni volta ci stupiamo dei grandi danni, ma sappiamo da tempo che con il surriscaldamento i rischi aumentano per tutti i territori. Il cambiamento climatico va infatti a peggiorare e intensificare gli eventi meteo. In ottobre le temperature erano tipicamente estive, le anomalie di ottobre potrebbero addirittura aggirarsi a +3 °C rispetto alla media del periodo del trentennio 1991-2020, il più vicino a noi. Questo significa che con un’atmosfera più calda e un mare più caldo l’energia in gioco è molto maggiore, con i danni che poi abbiamo visto. Poi possiamo chiederci: è colpa della crisi del clima o del dissesto idrogeologico, oppure di chi non pulisce gli alvei? Credo che la risposta sia un po’ in tutte queste cose. Dobbiamo prepararci, ma sembra che nessuno, soprattutto a livello di dissesto, voglia davvero occuparsene.

Cosa indicano le previsioni per le prossime ore? Il peggio è passato?

La fase più intensa di Ciaran probabilmente ce la siamo lasciata alle spalle ma a cavallo fra sabato e domenica un’altra perturbazione atlantica, degna di nota ma non così intensa, colpirà l’Italia con problemi localmente per zone già potenzialmente vulnerabili. Colpirà infatti a Nord-Ovest e poi al Centro-Nord, anche in aree che sono già state toccate nelle ultime ore, portando nuove piogge. Per la popolazione è sempre bene seguire bollettini e indicazioni di allerta.

Fra meno di un mese inizia la Cop28. Credi che finalmente si otterranno risposte concrete per affrontare la crisi del clima?

Noi come Italian Climate Network abbiamo lanciato, proprio in vista della Cop, una campagna su Loss & Damage, il fondo per perdite e danni subiti nei territori più vulnerabili a causa delle emissioni e della crisi clima. Ci crediamo, è un fondo importante, ma sappiamo che questa Cop28 sarà di transizione per via dell’attuale contesto geopolitico. Naturalmente parteciperemo, nella speranza di poter assistere a risposte concrete. Siamo però preoccupati che l’attuale situazione possa mandare in stallo un negoziato, dalla questione Loss & Damage sino a quello sulle fonti fossili. La crisi del clima è un tema etico: l’impatto su società, economia e ambiti sanitari è sempre più importante e lo stiamo vedendo anche ora. Non possiamo più continuare a rimandare le politiche di mitigazione e adattamento, a esempio. Più che di una transizione ecologica, servirebbe una transizione culturale: cambiare il modo di vedere le cose, pensare a migliorare per non dover poi pagare le conseguenze, ogni volta, degli impatti del nuovo clima.

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