Economia

Transizione demografica: quanto ne risente l’economia?

Lo spiega il Ministero dell’Economia e finanza, che ha stimato le conseguenze che ha, e avrà nei prossimi 3 anni, sul mercato del lavoro e sulle finanze dello Stato
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20 ottobre 2023 Aggiornato alle 07:00

Nel dicembre del 2021, la rilevazione Istat ha individuato che i 16 milioni di pensionati italiani erano beneficiari di 23 milioni di euro da utilizzare in prestazioni previdenziali.

Il 2023 è quasi terminato, e nonostante la prospettiva macroeconomica del nostro Paese si presenti, in apparenza, in lenta ripresa, il dato sulle previdenze sociali rallentava già allora la marcia dell’Italia verso la tranquillità economica.

Il mercato italiano sta cercando infatti di rialzarsi (con un leggero successo) dopo il dannoso periodo di pandemia, trovandosi oltretutto in un periodo di confronto e adeguamento al quadro internazionale, che ha come protagonisti il conflitto in Ucraina e le ripercussioni economiche del Covid-19 in Cina nei confronti di tutto il mondo.

L’inflazione che ne deriva è uno dei motivi cardine per cui, nonostante il ripristino sia costante, continui comunque a essere molto lento.

In definitiva, l’Italia si ritrova a essere messa in ginocchio da tre elementi che compromettono il mercato del lavoro e l’economia nazionale: la bassa natalità (1,24 nascite per donna nel 2020), l’invecchiamento della popolazione (187 anziani per 100 giovani) e uno tra i più bassi tassi occupazionali (61,3%).

Il discorso circa la bassa natalità dipende molto dalle opportunità che lo Stato pone a disposizione per le famiglie desiderose di ampliare il proprio nucleo. Come da programma nel sistema governativo, la legge Fornero riguardo il mercato del lavoro deve essere ripetutamente modificata e migliorata (come in questo caso) a vantaggio di lavoratori e (soprattutto) lavoratrici che possano scegliere di essere genitori e persone di successo.

A causa del fenomeno, la popolazione italiana attuale conta 58 milioni di persone, 2 milioni in meno rispetto ai dati rilevati, a esempio, nel 2016 (60,63 milioni), designando un serio problema nel processo di transizione demografica.

Dopo il netto calo delle nozze nel 2020, a causa della pandemia, nel 2021 i matrimoni celebrati erano saliti a 180.416, l’86,3% in più, rispetto all’anno precedente.

Nel 2022, continuava ad aumentare l’indice di vecchiaia, raggiungendo quota 187,6 anziani ogni cento giovani.

L’Istat ha indicato un’altissima speranza di vita alla nascita, che nel 2022 era di 80,5 anni per gli uomini e di 84,8 per le donne. È facile capire, quindi, il perché del nostro primato di Paese “vecchio”.

Il raggiungimento dell’età pensionistica della generazione del baby-boom (si intendono gli individui nati tra il 1945 e il 1964) causerà nei prossimi dieci/quindici anni la riduzione della popolazione in età di lavoro già a partire dal 2030 e un aumento dell’indice di dipendenza degli anziani senza precedenti per rapidità e intensità di crescita.

Come evidenzia il Mef, tale incremento sarà “solo parzialmente compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento”.

Da questi dati è possibile ricavare il problema fondamentale della transizione demografica dal punto di vista dell’economia del Paese: le spese pensionistiche.

I dati che emergono dalla nota di aggiornamento al Def approvata dal governo Meloni sono esorbitanti: tra la fine del 2022 e il 2026 sono stimati circa 64 miliardi di euro destinati alle spese pensionistiche.

La sostenibilità del sistema previdenziale, secondo ciò che è stato designato dalla Ragioneria generale di Stato, sarà in pericolo già dal 2030, quando la spesa comincerà a salire a causa dell’inflazione arrivando al 16% sul Pil (340 miliardi), per poi aumentare fino a raggiungere il 17% (360 miliardi) nel 2042, come hanno sottolineato gli enti del Ministero di Economia e Finanza italiano. In sostanza, come ha affermato il ministro dell’Economia Giorgetti “il sistema pensionistico non regge”.

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