Economia

Demografia: nuovo record negativo per l’Italia

Il fenomeno della denatalità sta portando la Penisola a un persistente calo numerico della popolazione. Eppure, una soluzione c’è
Credit: Cottonbro studio
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11 agosto 2023 Aggiornato alle 07:00

Il fenomeno della denatalità in Italia non sembra avere freni.

Nel 2022, Istat aveva registrato un record negativo, contando meno di 400.000 nati. Per la precisione, si legge che l’anno scorso sono venuti al mondo nello Stato Italiano 393.000 bambini, il dato più basso mai registrato.

Nel dettaglio, si contavano meno di 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti.

A mettere in ombra i dati del 2022 è il primo quadrimestre del 2023: le 118.000 nascite nel periodo gennaio-marzo di quest’anno rappresentano infatti il più triste risultato che sia mai stato annotato, inferiore dell’1,1% rispetto allo scorso anno e, naturalmente, ancora più basso rispetto al periodo pre-pandemico (-10,7% rispetto al 2019).

La pandemia, come prevedibile, ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di denatalità nel Paese. Il quadro demografico del 2020 e 2021 risente dei suoi effetti diretti: un aumento drastico della mortalità, il crollo dei matrimoni, una forte diminuzione dei fenomeni di migrazione e, non ultima, una preoccupante contrazione delle nascite.

Il 31 dicembre 2020 la popolazione italiana contava 59.236.213 residenti, in calo dello 0,7% rispetto al 2019. E proprio il 2020 aveva segnato il precedente record negativo in termini di nascite (405.000).

Come aveva evidenziato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo messaggio in occasione della terza edizione degli Stati Generali della natalità dell’11 maggio, «La coesione sociale del Paese si misura sulla capacità di dare un futuro alle giovani generazioni, creando un clima di fiducia» e affrontare la questione è «una puntuale prescrizione della Costituzione che, all’art. 31, richiama la Repubblica ad agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose».

In quell’occasione il Presidente invitava le istituzioni a attuare politiche attive che permettessero alle giovani coppie di realizzare i loro progetti, includendovi anche dei figli.

Contrariamente a quanto si legge troppo spesso, a mancare non pare essere il desiderio di avere dei bambini.

Al contrario, si rimanda la decisione (e, a volte, si rinuncia) perché le condizioni per realizzare questo desiderio sono inesistenti.

Area Studi Legacoop e Ipsos hanno condotto un’indagine su un campione rappresentativo di popolazione, evidenziando come, per il 74% degli intervistati (800 individui dai 18 anni in su), il problema della denatalità viene avvertito come urgente. In particolare, 7 persone su 10 vorrebbero almeno due figli.

I progetti delle persone intervistate si scontrano, tuttavia, con alcuni fattori che li rendono di fatto impossibili: per il 70% gli stipendi sono troppo bassi per far fronte all’aumento del costo della vita; per il 63% la precarietà del lavoro non rende possibile fare progetti a lungo termine; per il 59%, pesa la mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere dei bambini. Infine, gioca a sfavore la paura di perdere il posto di lavoro.

Con un dato che dovrebbe farci riflettere: quasi l’80% delle donne teme che avere figli le porterebbe a perdere il proprio lavoro.

Le conseguenze dell’aumento della denatalità non riguardano solo la salute sociale del Paese, ma anche quella economica.

Come ha evidenziato Gigi de Paolo, il presidente della Fondazione per la Natalità, «La popolazione produce la dimensione del Pil, quindi i cambiamenti demografici, il minor numero di abitanti, la loro modifica rispetto alla struttura per età della popolazione […] se le cose dovessero muoversi come abbiamo visto noi perderemo quasi 500 miliardi di Pil».

Non tutto è perduto, perché alcune leve per riportare le nascite sopra le 500.000 ci sarebbero. Secondo il World Population Policies 2021 delle Nazioni Unite, bisogna puntare su tre azioni fondamentali: l’estensione del congedo di paternità obbligatorio, la presenza capillare sul territorio dei servizi per l’infanzia e il contributo economico per i nuclei famigliari. La soluzione c’è, occorre solo la volontà.

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