Economia

Ex Ilva: nazionalizzazione mancata e nuovi scioperi

In attesa di un accordo tra Stato e AncelorMittal (azionista di maggioranza) per quanto riguarda risorse, interventi e tempistiche, la produzione cala e crescono le tensioni tra vertici e sindacati
Credit: ANSA
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4 ottobre 2023 Aggiornato alle 09:00

La storia dell’Ilva (originariamente Industria Laminati Piani e Affini) è una tra le più complesse a livello imprenditoriale in Italia e, malgrado gli anni, non presenta particolari miglioramenti. Dapprima la società è stata oggetto di inchieste e gravi accuse di violazioni ai danni dell’ambiente, specialmente nella città di Taranto, con impatti negativi sulla salute dei residenti e sull’ecosistema locale.

Nel 2012 l’Ilva viene commissariata dal Governo e 6 anni dopo viene acquisita da parte del colosso tedesco dell’acciaio AncelorMittal, per poi assistere nel 2021 all’ingresso dello Stato nella compagine societaria tramite l’Invitalia, agenzia governativa partecipata dal Ministero delle finanze per incentivare e sostenere le imprese italiane, oltre a cercare di rilanciare quelle più in difficoltà.

Dopo l’ingresso dello Stato nel capitale sociale della società, questa prende definitivamente il nome di Acciaierie d’Italia e un nuovo management avvia un percorso diretto al risanamento ambientale, riduzione dell’inquinamento e migliore attrattività per gli investitori esteri, anche se non tutto sembra andare per il verso giusto.

Per realizzare il piano di decarbonizzazione dell’impresa servono 10 anni e minimo 5,5 miliardi, anche se l’ex Ilva soffre una sottoproduzione decisamente preoccupante. A fronte di 6 milioni di tonnellate di acciaio solido approvate dalle autorità competenti, la fabbrica è riuscita a produrne a malapena 3,4 milioni nel 2022. Una stasi di questo livello non è nuova in casa Ilva, specialmente se funzionano 2 altiforni su 3, con metà delle acciaierie disponibili, impianti ancora sotto sequestro e 2.500 addetti ancora in cassa integrazione dal 2019.

Uno scenario complesso in cui si aggiungono problemi con le forniture di gas, entrata ufficialmente in default dopo la recente scadenza del termine assegnato dall’Arera, Autorità di regolazione energia, reti e ambiente, che imponeva all’AdI Holding (tra i più importanti consumatori singoli di gas) di cercare un nuovo fornitore sul mercato libero.

In un simile contesto i vertici dell’Acciaieria hanno portato avanti un roadshow commerciale, ovvero una serie di incontri ed eventi articolati in più tappe, chiamato Steel Commitment 2023, che ha raccolto l’adesione di oltre 500 clienti nello stabilimento di Taranto, per rassicurare e garantire al mercato l’impegno nel perseguire tutti gli obiettivi per tempo. Una conferenza decisamente non gradita dai sindacati (Fim, Fiom e Uilm) secondo cui «ancora una volta vi è stata una rappresentazione ben diversa dalla realtà in cui versa lo stabilimento siderurgico di Taranto».

Motivo per cui il 28 settembre, mentre l’amministratrice delegata Lucia Morselli e il presidente Franco Bernabè presentavano nuovi prodotti, interventi ambientali da 2 miliardi di euro e una nuova scuola di formazione specialistica per laureati Stem (la Technical Academy), i sindacati affiggevano per tutta la città il volto dell’amministratrice, premiandola sarcasticamente per la “peggiore gestione di sempre”, lamentando l’assenza di una programmazione ordinaria e straordinaria della produzione, gravi carenze nella manutenzione degli impianti e totale assenza di un piano industriale capace di dettare la linea sul futuro ambientale e occupazionale della società.

Un quadro così critico necessita prima di tutto di risorse fresche per affrontare le sfide del breve termine. I 680 milioni di euro erogati dal Governo tramite Invitalia nei mesi scorsi sarebbe dovuto essere un ponte verso una scalata dello Stato nell’azionariato di AdI verso il 60%. Ma questa nazionalizzazione sembra ormai essere stata cestinata dal ministro per gli affari europei Raffaele Fitto, incaricato dal Governo di stringere un patto con AncelorMittal, che rimane azionista di maggioranza al 62%, per definire nuovi accordi su risorse, interventi e soprattutto tempistiche.

Nel frattempo, i lavoratori dell’ex Ilva si organizzano in ogni parte d’Italia. Oltre alle mobilitazioni di Taranto, la Rappresentanza sindacale dello stabilimento di Genova Cornigliano ha dichiarato lunedì 2 ottobre 24 ore di sciopero. Una decisione destinata a essere «l’inizio di una lunga serie di azioni di lotta», commentano Fim e Cisl a margine dell’assemblea avuta luogo la mattina stessa con tutti i lavoratori di Acciaierie d’Italia, tra cui 200 in amministrazione straordinaria, ancora in attesa di una regolare proposta di assunzione dal 2018.

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