Diritti

Colpi di Stato: cosa ne pensano gli africani?

Circa due terzi dei cittadini credono nell’importanza della democrazia e sono contrari ai golpe dei militari; eppure, per il 53% sono ammissibili nei casi in cui riescano a scacciare regimi corrotti
Credit: Oladimeji Odunsi
Tempo di lettura 3 min lettura
26 settembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Negli ultimi 2 anni, nel Continente Africano ci sono stati 6 colpi di stato (Mali, Guinea, Burkina Faso, Gabon, Niger e Sudan), di cui uno (in Sudan) ha dato origine a una guerra che sta dissanguando il Paese. Gli altri sembrano al momento non avere provocato conflitti e sono sotto la lente d’osservazione della comunità internazionale che ne monitora gli effetti e in alcuni casi valuta se e come intervenire. Ma qual è l’opinione degli africani riguardo il tema dei colpi di stato e del sovvertimento dei processi democratici?

Lascia riflettere un recente rapporto di Afrobarometer, rete di ricerca panafricana il cui obiettivo è raccogliere i pareri della pubblica opinione sui fenomeni politici, economici e sociali. Nei 36 Paesi in cui sono state rilevate le opinioni risulta che almeno due terzi degli africani sono fermamente convinti dell’importanza dei processi democratici e contrari ai colpi di forza dei militari.

Il dato interessante, però, è che il 53% dei cittadini ritiene ammissibile e anche auspicabile un golpe militare quando questo è capace di rimuovere un regime autoritario o corrotto. Il numero sale se si guarda alle posizioni degli africani che vivono in alcuni dei Paesi che hanno vissuto i colpi di stato: in particolare, 82% nel Mali e 58% in Sudan. Questa maggioranza “pro-golpista a fini democratici”, inoltre, è più forte negli under 35 e debole negli over 55, forse segno della sfiducia nei metodi democratici che nutrono i giovani; o forse, solo assenza di ricordo delle sofferenze che i conflitti armati possono provocare.

Questi dati fanno riflettere anche perché, probabilmente, non sono tanto diversi dal punto di vista di altri cittadini di altre parti del mondo, motivato in molti Statu dalla scarsa forza dei processi democratici.

I soldati, quindi, vengono visti come una sorta di avanguardia del popolo che pone fine al totalitarismo mascherato da una parvenza di democrazia.

E in realtà, nel mondo ci sono stati alcuni esempi virtuosi. Io ne ricordo uno ancora impresso nelle immagini in bianco e nero che ne dava la televisione: la rivoluzione dei garofani, dove grazie alle forze armate (o comunque, una buona parte) venne posta fine nel 1974 alla dittatura in Portogallo. Golpe in cui lo spargimento di sangue fu dovuto alla reazione della polizia segreta e “limitato” dalla reazione proporzionata da parte dei militari. Golpe che portò, non senza travagli interni e altri tentativi di colpi di forza, a libere elezioni entro 2 anni.

Il tempo ci dirà se avverrà la stessa cosa nei Paesi africani in cui i golpe sono avvenuti, ammesso che in tutti questi casi vi fossero regimi antidemocratici da ribaltare: la storia ci insegna che spesso chi depone il tiranno (o il tacciato tiranno) è poi tentato di sostituirlo, chiamando la propria tirannia “democrazia”.

Del resto in politica di frequente accade che la volontà dei pochi sia passata per la volontà del popolo, spesso definito “maggioranza silenziosa” che in tanti interpretano e pochi vogliono ascoltare. E soprattutto consultare.

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