Diritti

I giovani di tutto il mondo hanno meno fiducia nella democrazia

Secondo il sondaggio dell’Open Society Foundations, l’86% degli intervistati vuole vivere in uno Stato democratico: tra la fascia 18-35 anni, i favorevoli sono solo il 57%; tra gli over 56, il 71%
Credit: Cottonbro studio
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
13 settembre 2023 Aggiornato alle 14:00

Le persone hanno ancora fiducia nella democrazia, ma pare che, tra i giovani, questa tenenza si stia pian piano affievolendo. A rilevarlo è il sondaggio internazionale condotto in 30 Paesi intitolato Open Society Barometer: Can Democracy Deliver?. La Open Society Foundations, la rete di donatori della società civile finanziata dal miliardario filantropo George Soros, si è domandata: “Con la crisi climatica, la crescente disuguaglianza di reddito e la sfiducia nei confronti dei politici, la democrazia può dare risultati?

I risultati mostrano che sembra esserci una forte correlazione tra età e atteggiamenti contrari ai principi democratici: “I giovani di tutto il mondo hanno meno fiducia nella democrazia di qualsiasi fascia d’età, il che rappresenta una grave minaccia per il loro futuro”, spiega il rapporto. Se è vero che l’86% degli intervistati predilige uno Stato democratico e solo il 20% ritiene che i regimi autoritari siano più capaci di fornire “ciò che i cittadini vogliono”, tra la fascia d’età 18-35 anni solo il 57% ritiene che la democrazia sia preferibile a qualsiasi altra forma di Governo, rispetto al 71% degli intervistati più anziani.

Oltre un terzo (35%) dei giovani interpellati della Generazione Z e Millennial è favorevole a un leader forte che elimini le legislature e le elezioni. Man mano che sale la fascia di età, la percentuale di favorevoli diminuisce: diventa il 32% tra i 36 e i 55 anni e scende al 26% tra gli over 56. Il 42% dei giovani che hanno partecipato al sondaggio ritiene che il Governo militare sia un buon modo di governare un Paese, mentre tra gli over 56 questa percentuale scende al 20%.

Mark Malloch-Brown, presidente della Open Society Foundations, parla di risultati «sia preoccupanti che allarmanti. Le persone in tutto il mondo vogliono ancora credere nella democrazia. Ma generazione dopo generazione, quella fede sta svanendo mentre crescono i dubbi sulla sua capacità di apportare miglioramenti concreti alle loro vite. Questo deve cambiare».

Il report spiega che questa tendenza tra Gen Z e Millennials, però, non dovrebbe sorprenderci: “I giovani di oggi sono cresciuti e si sono politicizzati nell’era della policrisi (al World Economic Forum di Davos il 2023 è stato definito “l’anno della policrisi”, ndr) durante la quale le forme di turbolenza climatica, economica, tecnologica e geopolitica sono cresciute e si sono rafforzate in misura mai vista prima. Quindi, anche se la maggior parte delle persone a livello globale ha ancora fiducia nella democrazia, questa fede sta andando a singhiozzo. E questi risultati suggeriscono che potrebbe indebolirsi di generazione in generazione”. Anche se la democrazia continua a esercitare un “fascino diffuso”, bisogna dimostrare che sia davvero in grado di produrre risultati migliori e concreti per tutti.

La Open Society Foundations ha intervistato 36.344 persone in 30 Paesi tra il 18 maggio e il 21 luglio 2023. Tra questi figurano l’Italia, gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, la Germania, la Nigeria, il Bangladesh e l’Ucraina, dove si è svolta la ricerca attraverso un mix di panel online e fornitori locali. In generale, negli Stati a basso, medio e alto reddito, la crisi climatica è la priorità assoluta: il 70% degli intervistati crede che il cambiamento climatico influenzerà personalmente gli intervistati e i loro mezzi di sussistenza nel corso del prossimo anno.

Il 16% ha pensato ancora al cambiamento climatico quando gli è stato chiesto quale sia il problema che ha il maggiore impatto sulla loro vita, mentre il 21% ha optato per povertà e disuguaglianza. Le persone credono che un sistema internazionale più giusto sarebbe più efficace. Il 61% degli intervistati ritiene che i Paesi a basso reddito dovrebbero avere più voce in capitolo nel processo decisionale globale: una consapevolezza più diffusa tra gli stessi Paesi a basso reddito, più che in Europa e Stati Uniti.

Tutti concordano, però, sul sostegno ai diritti umani, con percentuali comprese tra l’85% e il 95% in tutte le regioni e a ogni livello di reddito: i Governi che violano i diritti individuali per motivi di aspetto, religione, orientamento sessuale o di genere, sbagliano.

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