Diritti

Gli uomini ricchi sono un pericolo per le democrazie?

Il giornalista Riccardo Staglianò li chiama gigacapitalisti. Secondo lui, il rischio è che magnati come Bezos, Musk o Zuckerberg continuino ad arricchirsi senza limiti. Arrivando a influenzare anche l’opinione pubblica
Jeff Bezos
Jeff Bezos Credit: Patrick Fallon/ZUMAPRESS
Tempo di lettura 4 min lettura
30 marzo 2023 Aggiornato alle 10:00

Se osserviamo la lista (in costante aggiornamento) stilata da Forbes delle persone più ricche del Pianeta, notiamo almeno 3 aspetti comuni: sono quasi tutti uomini, i loro investimenti riguardano principalmente il settore tecnologico e la maggior parte di loro è impegnata nella beneficenza. Ma come e quanto la ricchezza di queste persone può influenzare l’opinione pubblica e le democrazie in cui viviamo?

60 di questi facoltosi imprenditori possiedono patrimoni miliardari che superano il Pil dei Paesi più ricchi del mondo. Tra i più noti ci sono Elon Musk, produttore di auto elettriche Tesla, di razzi SpaceX e fondatore della startup Boring Company, che punta a eliminare il traffico dei trasporti attraverso la costruzione di tunnel; Jeff Bezos, fondatore dell’e-commerce Amazon e proprietario della testata Washington Post e dell’azienda aerospaziale Blue Origin; ma anche Bill Gates, co-fondatore di Microsoft e tra i maggiori proprietari di terreni agricoli negli Stati Uniti.

Queste e altre personalità sono a capo di aziende la cui capitalizzazione di Borsa ha superato i 1.000 miliardi di dollari. Poiché fondano le proprie (enormi) ricchezze su attività prevalentemente digitali, il giornalista e saggista Riccardo Staglianò si riferisce a questi magnati parlando di Gigacapitalisti nell’omonimo libro (Einaudi, 12 euro, 152 pagine). Secondo l’autore, il rischio è che i plutocrati, lasciati liberi di agire e di continuare ad arricchirsi senza sostanziali limiti, possano dare vita a monopoli pericolosi per le democrazie e per i cittadini.

Nel suo libro, Staglianò descrive le modalità attraverso cui questi imprenditori avrebbero sviluppato il proprio business, vale a dire grazie a una “visione sinottica” degli affari e alla concentrazione di capitali, resa possibile anche dagli aiuti pubblici. L’estensione capillare dei servizi legati ai marchi creati avrebbe portato poche aziende a monopolizzare interi settori, mentre alcune sovvenzioni statali hanno favorito la loro ascesa. Tesla, per esempio, ha ricavato grande supporto dai crediti verdi finanziati dal Governo statunitense, mentre l’esenzione delle tasse sulle vendite online ha agevolato a lungo la crescita economica di Amazon.

Il tema del monopolio è particolarmente scottante: la Federal Trade Commission, l’agenzia governativa americana che si occupa di antitrust e protezione dei consumatori, indaga su Amazon dal 2019 e ha messo in luce il suo abuso di potere nel mercato online, nonché potenziali violazioni della privacy dei consumatori collegate alle sue telecamere Ring e all’assistente digitale Alexa.

I pericoli di questo strapotere investono anche l’opinione pubblica. Piattaforme come Meta e Amazon sono proprietarie di dati sensibili e di informazioni riguardo le preferenze dei cittadini che li rendono, secondo Staglianò, degli enormi serbatoi da cui anche la Cia si rifornisce. L’uso di questi pacchetti di conoscenza, però, può influenzare allo stesso tempo in modo scorretto consumatori ed elettori. Il caso di Cambridge Analytica, segnalato dal Guardian, ha rivelato come nel 2016 un’agenzia di marketing avesse utilizzato impropriamente i dati forniti da Facebook per manipolare online gli elettori indecisi a beneficio della la campagna elettorale per la presidenza di Donald Trump.

Al controllo monopolistico dei dati personali, si somma il pericolo di un protagonismo sempre più marcato da parte di imprenditori privati all’interno di settori di interesse pubblico e internazionale, come l’aerospazio nel caso di Elon Musk con SpaceX, e la sanità nel caso di Bill Gates, tra i più grandi donatori dell’Organizzazione mondiale della sanità. Un altro esempio degno di nota è quello di Michael Bloomberg, imprenditore e politico statunitense (numero 7 al mondo per il valore della sua ricchezza) che ha donato più di 12,7 miliardi di dollari a organizzazioni che si occupano del controllo di armi e di cambiamento climatico.

Ma oltre a produrre un aumento del conflitto di interessi, è proprio attraverso la beneficenza che aziende multimiliardarie riescono a eludere le tasse e ad acquisire potere decisionale riguardo temi delicati. I dati raccolti dalla redazione indipendente ProPublica mostrano infatti che i miliardari statunitensi dispongono di un’ampia gamma di opzioni di evasione fiscale per compensare i loro guadagni. Tra queste ci sono anche le detrazioni che derivano dalle attività filantropiche.

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