Economia

L’aumento dei prezzi della CO2 mette in difficoltà la ceramica

Nel mercato delle quote di gas serra, il prezzo di emissione è cresciuto fino a 85 euro e si prevede che aumenti ancora, bloccando le ruote delle imprese più energivore e meno tutelate dalle compensazioni europee
Credit: Cup of Couple
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26 settembre 2023 Aggiornato alle 19:00

L’Eu Ets (Emission trading system) è il principale strumento dell’Unione europea per scambiare le quote di emissione, raggiungere la decarbonizzazione nei settori industriali e in quello dell’aviazione. Per arrivare entro il 2030 a una diminuzione del 40% delle emissioni di anidride carbonica e GHG rispetto a quelle del 2005, anno in cui il programma è stato avviato.

Attraverso un meccanismo cap and trade viene fissato un tetto massimo di emissioni possibili sul territorio europeo per i vari settori coinvolti - per esempio impianti energivori quali raffinerie di petrolio, acciaierie e produzione di ferro, metalli, alluminio o vetro - ed entro tale limite le imprese potranno acquistare o vendere quote di emissioni in base alla loro esigenza.

Una quota infatti conferisce al suo titolare la possibilità di emettere una tonnellata di CO2 o di un altro gas climalterante.

Inoltre, le imprese che non hanno abbastanza quote di emissioni per le proprie esigenze produttive dovranno comprarne altre all’asta oppure da altre imprese che ne hanno in eccesso.

Come in ogni grande mercato, anche quello delle emissioni subisce gli effetti delle speculazioni finanziarie.

Il prezzo medio di una tonnellata di gas serra è riuscito a salire fino a 85.45 euro di media ed è previsto un ulteriore rialzo a 100 euro nel periodo 2026-2030.

Cifre esorbitanti, se confrontate con i listini dei primi anni di vita dell’Ets, dove il prezzo gravitava intorno ai 5-6 euro, e che rischiano di diventare eccessivamente onerosi per le imprese altamente energivore, come per esempio quelle che producono ceramica.

L’impennata dei prezzi costituisce «un grosso ostacolo alla competitività del nostro settore», spiega Franco Manfredini, vice presidente di Confindustria Ceramica, che sottolinea la gravità della situazione dovuta anche all’esclusione dell’industria della ceramica dalle compensazioni per i costi sulle emissioni da parte della Commissione europea fino al 2030, con il rischio di spingere sempre di più i vertici delle varie industrie a «procedere con delocalizzazioni produttive in Paesi con una legislazione a tutela dell’ambiente molto meno avanzata» rispetto a quella europea, con enormi ripercussioni negative sul processo di decarbonizzazione, beffato dai suoi stessi vincoli interni.

La penalizzazione vissuta su più campi dall’industria ceramica non rende certo onore a un settore che vive principalmente di export, con 8.7 miliardi di euro di fatturato nel 2022 e circa 26.500 addetti diretti, ma anche leader nella tutela dell’ambiente all’interno del panorama manifatturiero italiano.

Le imprese attive nella produzione di ceramica infatti si sono autonomamente dotate della Dichiarazione Ambientale di Prodotto (Dap), una certificazione nata per migliorare la trasparenza ambientale tra produttori e consumatori grazie al quale le aziende comunicano al pubblico le proprie strategie per orientare la produzione verso un sempre maggiore rispetto per l’ambiente. E i risultati sono stati evidenti, con un abbattimento dell’emissione di gas inquinanti giunto fino al 99%, un crescente ricorso all’autoproduzione di energia elettrica grazie a continui investimenti su impianti fotovoltaici (che nel 2023 aumenteranno del 75%) e un miglioramento generale della produzione.

Rimane dunque da sperare che le oscillazioni finanziarie del mercato delle emissioni non si trasformino in un brusco freno per il cammino green che un settore altamente energivoro quale quello della ceramica ha dimostrato essere perfettamente in grado di percorrere.

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