Economia

Inps: i dipendenti vivono 5 anni meno dei dirigenti

Il rapporto annuale dell’Istituto della previdenza sociale sottolinea come le disuguaglianze lavorative siano capaci di incidere sull’aspettativa di vita delle persone
Credit: cottonbro studio
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18 settembre 2023 Aggiornato alle 07:00

L’ultimo rapporto annuale dell’Inps mette in risalto le disuguaglianze nel tenore di vita degli italiani. “Un ex-lavoratore dipendente, con un reddito coniugale nella fascia più bassa della distribuzione, ha un’aspettativa di vita a 67 anni, quasi 5 anni inferiore rispetto a quella di un ex-contribuente al Fondo Inpdai (cioè, il fondo pensionistico dei dirigenti). Tali differenze tra le donne sono meno pronunciate, ma comunque rilevanti”, spiega l’Istituto nel documento.

“Queste differenze nella speranza di vita in base al reddito - aggiunge - sono in contrasto con l’utilizzo di un coefficiente di trasformazione unico per il calcolo della pensione, che penalizza i soggetti meno abbienti, il cui montante contributivo viene trasformato in una pensione più bassa di quella che otterrebbero se si tenesse conto della loro effettiva speranza di vita. Viceversa, i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita”.

Già 5 anni fa, Giuseppe Costa, epidemiologo dell’Università di Torino, affermò in uno studio che la differenza tra i salari degli operai e dei dirigenti influiva direttamente sulla loro aspettativa di vita, rispettivamente di 78 e 83 anni.

Un professionista ha più risorse per la salute, dispone di migliori conoscenze e può avere più alternative per reagire a un problema. Inoltre, il professore aveva considerato anche altri fattori solo all’apparenza irrilevanti nella vita degli operai: «Queste persone hanno meno controllo delle proprie condizioni di vita: devono rispettare i ritmi lavorativi, la loro retribuzione monetaria, ma anche emotiva, è bassa, le possibilità di fare carriera sono scarse. Tutto ciò provoca lo stress cronico che aumenta il rischio di diabete, ipertensione, depressione, infarto. Senza contare che chi vive questa condizione spesso si consola con uno stile di vita malsano: mangia male, è sedentario, cede al gioco d’azzardo, fa sesso non protetto, fuma».

Una ricerca condotta nel 2017 dal Dipartimento di Salute Francese, ha evidenziato come le disuguaglianze economiche influiscano anche sul rischio obesità. In quell’anno, in Francia, l’1,3% dei figli di manager era obeso, mentre il dato saliva al 5,5% per i figli degli operai. Tra le motivazioni di questo squilibrio c’è uno stile di vita migliore per la maggior parte dei figli di ricchi lavoratori, caratterizzato da un’alimentazione più sana e una minore sedentarietà.

Queste disparità risultano tanto più acute nel periodo di crisi che stiamo vivendo, in cui l’inflazione e la guerra in Ucraina hanno diminuito il potere d’acquisto dei consumatori. Nel quarto trimestre del 2022, anno in qui è scoppiato il conflitto, l’Istat aveva rilevato un calo del potere d’acquisto del 3,7%; sempre nel 2022, l’1% delle persone più benestanti in Italia deteneva il 23,1% della ricchezza.

Inoltre, uno studio condotto nel 2022 dal think tank europeo Bruegel, che ha messo a confronto gli indici di inflazione del 20% più povero e del 20% più ricco della popolazione, ha evidenziato come i primi abbiano subito un aumento dei prezzi rispetto alle proprie abitudini di spesa del 20%, a fronte di un 10% dei più abbienti. Ma questo dato è in netto contrasto con Francia, Germania e Spagna, dove efficaci politiche di sostegno economico e sociale per le classi più povere hanno prodotto, come conseguenza, un maggiore impatto dell’inflazione sulle classi più agiate.

La questione sociale, dunque, si collega strettamente alla qualità e all’aspettativa di vita. E le spinte inflazionistiche possono creare ulteriori disuguaglianze e disagi a riguardo, che solo politiche adeguate possono arginare.

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