Diritti

Disabilità a lavoro: nascosta nel 25% dei casi

La ricerca del Boston Consulting Group ha coinvolto 28.000 dipendenti in 16 Paesi, compresa l’Italia. Qui i lavoratori con disabilità o patologie croniche sono il 21%: il 46% non ha rivelato la propria condizione
Credit: Marcus Aurelius
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5 settembre 2023 Aggiornato alle 13:00

Malgrado siano stati fatti importanti progressi negli ultimi anni (a esempio, il welfare aziendale e lo smart working), si parla ancora oggi di discriminazione e scarsa inclusione a livello lavorativo per le persone che presentano una disabilità e malattia cronica (visibile o invisibile).

In Italia esistono da tempo norme incentrate sull’inserimento lavorativo delle persone con un’invalidità fisica o legata al proprio stato di salute, come la Legge 12 Marzo 1999, n.68 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Questa normativa è stata poi sottoposta a un’importante operazione di riforma secondo il D.lgs. n. 151/2015 che ha consolidato l’istituto del collocamento mirato, un ponte tra le richieste dei datori di lavoro e le attitudini dei dipendenti più fragili. Inoltre, le società con questo servizio devono obbligatoriamente assumere tutti, senza alcuna distinzione tangibile e non.

Tuttavia, permangono numerosi svantaggi che già erano evidenti nel 2019 quando, secondo il portale Disabili.com, tra la fascia d’età 15 - 64 anni risultava occupato solamente il 32,2% di persone con disabilità, contro il 59,8% delle persone senza.

Come viene riportato nel report Mental health and work: Impact, issues and good practices della Who (Organizzazione Mondiale della Sanità), esiste una maggiore coscienza globale nei confronti della disabilità che non è più solo una condizione del singolo individuo ma viene inserita nell’ambiente che circonda la persona stessa, compresi i contesti lavorativi.

Riuscire a svolgere quotidianamente un determinato impiego genera, a sua volta, benefici essenziali tra cui stabilità psicologica e finanziaria, ambizione personale, percezione di utilità e realizzazione di una propria identità. Al contrario, la disoccupazione riesce a generare disturbi psicomotori, stress costante, solitudine, mancanza di autostima, emarginazione, incapacità di gestire delle relazioni interpersonali ed eventuale uso smodato di sostanze nocive. Tutto ciò riduce il rendimento personale, fondamentale in tutti i lavori.

Secondo lo studio condotto dal Boston Consulting Group (Bcg) e pubblicato a maggio del 2023, su quasi 28.000 dipendenti, circa il 25% degli individui rende nota la propria disabilità sul posto di lavoro, a fronte di quanto riportato dalle aziende che riportano dati inferiori, pari al 4% e 7%. L’analisi è stata condotta in 16 Paesi e ciò denota quanto il problema sia globale e richieda una maggiore attenzione da parte dei vari stakeholders considerando anche che, stando ai dati Who, il numero di persone con disabilità in tutto il mondo è salito a 1,3 miliardi.

La fotografia italiana, nel report della multinazionale statunitense di consulenza strategica, manifesta una situazione contrastante e insostenibile. I lavoratori intervistati, con una disabilità o una patologia cronica, ammontano al 21%. Il 46% afferma di non aver avuto la fermezza di rivelare la propria condizione psicofisica al responsabile e ai colleghi per timore di ritrovarsi in situazioni di forti disparità, svantaggio, pregiudizi e pettegolezzi. Invece, il 43% delle persone che ha avuto il coraggio e la forza di mostrarsi nella loro entità, sostiene di essere stato soggetto a continue discriminazioni.

Le donne e i giovani, ancora una volta, rappresentano i gruppi più svantaggiati, secondo la scheda progetto dell’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (Andel) che fa leva, inoltre, sull’importanza di sviluppare un’innovazione sociale per promuovere una forte inclusione lavorativa. Paura, inadeguatezza, inferiorità e debolezza sono le emozioni più diffuse.

Eppure, il nostro ordinamento giuridico recita all’Articolo n. 4 della Costituzione italiana “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Lo scenario riportato mette pone alle società riflessioni cruciali: risulta essenziale sostenere una cultura inclusiva e creare habitat accessibili a tutti eliminando stigma e barriere che alimentano malessere e disagio sul posto di lavoro.

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