Futuro

Com’è nata la vita sulla Terra?

Uno studio coordinato dall’Università di Trento ha cercato di capire come il nostro Pianeta sia diventato vivente. L’origine della vita è nelle bocche idrotermali dei vulcani sottomarini
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30 agosto 2023 Aggiornato alle 13:00

Le teorie che si sono susseguite negli anni sulla nascita della vita sulla Terra sono tante.

Tra le più antiche, quella del creazionismo, secondo cui a creare la vita sul nostro Pianeta sia stato un essere divino. La rivoluzione scientifica e i progressi della ricerca, però, si sono fatti strada nel corso dei secoli e hanno messo all’angolo questa teoria, fino a superarla abbondantemente, per fare spazio a idee, ipotesi e teorie studiate, fondate e testate scientificamente.

Come quella di Oparin, il biochimico russo che per primo avanzò la teoria di un “brodo primordiale” composto da molecole complesse o quella di due studiosi vicini al suo pensiero, Stanley Miller, un giovane laureato dell’Università di Chicago, e il suo professore Harold Urey, entrambi sostenitori dell’idea che a fornire – letteralmente – la scintilla per l’abiogenesi siano stati i fulmini: le scintille elettriche, infatti, possono generare amminoacidi e zuccheri da un’atmosfera carica di acqua, metano, ammoniaca e idrogeno, esattamente come quella della Terra 4,5 miliardi di anni fa.

Secondo il chimico organico scozzese Alexander Graham Clairns-Smith, invece, la vita sarebbe nata a partire dall’argilla, mentre la teoria del metabolismo spiega che gli elementi chimici e i nutrienti atmosferici già presenti sulla Terra abbiano semplicemente continuato a reagire nel tempo, producendo molecole sempre più complesse e dando origine alle prime forme di vita.

Si potrebbe continuare ancora a lungo elencando teorie e ipotesi - alcune accreditate e scientificamente fondate, altre meno - sull’origine della vita sulla Terra. E, se è vero che il dibattito ancora oggi resta aperto e predisposto ad accogliere idee e progressi sempre nuovi, grazie anche agli sviluppi scientifici e tecnologici di cui disponiamo e che fanno da garanti per la scoperta di una verità fondata e concreta, allora ci hanno pensato i ricercatori e le ricercatrici del gruppo di ricerca dell’Università di Trento ad aggiungere un tassello a quella che oggi appare la teoria scientifica più accreditata per la genesi della vita sul pianeta Terra: la teoria delle bocche idrotermali dei vulcani sottomarini.

Con la ricerca dal titolo Hybrid organic–inorganic structures trigger the formation of primitive cell-like compartments, che ha conquistato nelle scorse settimane la copertina di Pnas, il peer reviewed journal della statunitense National Academy of Sciences, e mettendo insieme competenze diverse - da quelle biochimiche Silvia Holler, ricercatrice UniTrento e principal investigator dello studio, a quelle di Richard J. G. Löffler, Federica Casiraghi e Martin M. Hanczyc, tutti afferenti al Dipartimento Cibio dell’Università di Trento, passando per quelle in astrobiologia di Stuart Bartlett del California Institute of Technology, e quelle in geologia di Claro Ignacio Sainz Diaz e Julyan H. E. Cartwright dell’Università di Granada – il gruppo di ricerca è riuscito a fornire un prezioso contributo per indagare le condizioni che circa 4 miliardi di anni fa hanno acceso la scintilla della vita sul nostro pianeta.

«Il nostro obiettivo – racconta Silvia Holler – era esplorare un nuovo percorso per capire come sia iniziata la vita sulla Terra. In particolare, ci interessava approfondire la transizione da un pianeta inorganico e senza vita a un pianeta organico, ricco e vivente».

L’ambiente creato per riproporre le condizioni necessarie allo scoccare della vita è quello delle “bocche idrotermali”, sorgenti di acqua calda alimentate dai vulcani sottomarini. Il gruppo di ricerca ha verificato come le strutture inorganiche presenti in un ambiente di questo tipo possano incorporare molecole organiche fino a formare nuove strutture ibride inorganiche-organiche. Queste possono poi a loro volta supportare e promuovere la formazione di membrane primitive simili a cellule, le strutture alla base di ogni essere vivente.

«Le prospettive della ricerca – prosegue Holler – sono moltissime. a esempio, potrebbero essere analizzate librerie di composti più ampie rispetto a quelle utilizzate fino a ora, sia per la creazione di strutture inorganiche, sia per quanto riguarda i composti organici che vanno a interagire con esse. Potrebbero inoltre essere testati altri fattori e valutata la stabilità delle protocellule rispetto a variazione di temperatura o di pH. Le applicazioni possibili sono tante e spaziano dal ricreare la vita in futuro su altri pianeti, fino all’utilizzo delle protocellule per migliorare l’efficacia e la precisione dei farmaci all’interno del corpo umano. Noi abbiamo aperto la strada, il cammino da percorrere è ancora lungo, ma decisamente promettente».

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