Culture

Autunno Caldo: il camp politico per parlare di clima, femminismo e lavoro

Fino al 3 settembre a La Schola, spazio multidisciplinare a Morosolo (Varese), una tre giorni di formazione, confronto e dibattito per gli attivisti e le attiviste d’Italia. Che Cecilia Santo di Collettiva Varese ha anticipato a La Svolta
Credit: Autunnocaldo.com
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1 settembre 2023 Aggiornato alle 20:00

Autunno Caldo è la storia di una e stagione di grandi avanzamenti, di alleanze tra lavoratori e studenti, di lotte e dignità, di conquiste politiche, sociali e culturali che hanno determinato il passaggio da un’epoca a un’altra.

Autunno Caldo sono il riscaldamento globale e la crisi climatica che ogni giorno ci urlano di fermarci e ripensare il nostro modello di produzione e consumo.

Autunno caldo sono tre giorni di dibattito e confronto sui temi caldi del nostro tempo: tre giorni per comprendere come costruire una mobilitazione, per parlare di clima, femminismo e lavoro, in un’ottica di intersezione e co-dipendenza tra lotte territoriali e di cura nei confronti del futuro.

Fino al 3 settembre presso La Schola, spazio multidisciplinare a Morosolo, in provincia di Varese, sarà possibile respirare quell’aria ricca di carica elettrica che è stata in grado di generare i grandi cambiamenti sociali del ‘69.

L’iniziativa, a opera di Collettiva Varese, si propone come un camp di formazione politica rivolto ad attivisti e attiviste di tutta Italia, per provare a immaginare nuove forme di lotta, coscienza di classe e mobilitazione politica.

Nel contesto dell’attuale modello produttivo estrattivista, in cui ogni risorsa viene trasformata in profitto, si partirà dal tempo, dal lavoro, dall’ambiente e dai corpi sfruttati, per guidare una trasmissione della cultura socio-politica.

Imparare a scrivere gli striscioni, sapere a memoria canti politici, essere in grado di organizzare un’assemblea, sono saperi che si passano di generazione in generazione politica e che oggi spesso non hanno testimoni capaci di riconoscerne il valore.

Ecco perché ad alimentare questa fiamma ci saranno speaker tra cui Christian Raimo, Jennifer Guerra, Angelo Miotto, Adolfo Pepe, Paola Imperatore, Christian Marazzi, Elena Ostanel e Lorenzo Zamponi.

Per immergerci in queste giornate preparatorie, ci siamo avvalse dell’esperienza diretta di un membro chiave di Collettiva Varese: Cecilia Santo. Attraverso la sua guida entreremo in contatto con l’energia del cambiamento che permea questa settimana preparatoria, permettendoci di abbracciare appieno le dinamiche in atto, e di sondare il profondo significato della trasmissione di una cultura politica.

Perché la scelta di rifarsi agli episodi dell’autunno caldo per il nome del camp?

L’Autunno Caldo del ‘69 ha rappresentato un movimento di convergenza di lotte tra lavoratori e studenti, di forte coscienza politica di partecipazione, che è esattamente ciò che vogliamo trasmettere e ricreare. Inoltre abbiamo giocato col nome per enfatizzare anche uno dei nostri temi principali, ovvero le odierne problematiche a livello ambientale.

Qual è lo scopo di queste giornate?

L’obiettivo è provare a creare uno spazio di confronto, di studio e di formazione con esperti, su alcune delle tematiche che riteniamo più urgenti. Avremmo voluto trattare molti argomenti, e non è escluso che non lo faremo all’interno di prossime edizioni, ma la cosa che ci premeva di più era avere uno spazio fisico di confronto e formazione. Era necessario trovare un luogo dove poter scambiare strumenti concreti per provare a organizzare forme di lotta e mobilitazione su vari territori.

Su quali tematiche vi concentrate maggiormente per l’evento?

Abbiamo scelto di concentrarci principalmente su clima, femminismo e lavoro.

Attraverso un rapporto interconnesso tra gli argomenti, intendiamo utilizzare momenti laboratoriali e di formazione per creare rete e promuovere lo scambio di best practice.

Per noi interconnessione e divulgazione sono importantissime. La giornata di venerdì, a esempio, è aperta a tutta la cittadinanza, e verterà sulla costruzione del consenso politico per costruire una mobilitazione. L’argomento ci servirà per introdurre i temi delle giornate successive.

Come si svilupperanno le altre giornate?

Sabato affronteremo un’interconnessione tra diverse tematiche.

Partendo dal lavoro, discuteremo il fenomeno delle grandi dimissioni di massa e del rifiuto del lavoro per riappropriarsi dei tempi di vita. Questo fenomeno è una conseguenza diretta del lavoro non riconosciuto, della precarietà, dello sfruttamento, e del fatto che il lavoro occupi più tempo nelle vite di quello che dovrebbe. Questo argomento porta alla luce tutte quelle che sono anche le tematiche di genere relative al lavoro di cura non retribuito delle donne, alla loro maggior probabilità di andare in burnout, ecc. Oggi, inoltre, tutto questo non può esimersi dalle lotte socio climatiche, perché la giustizia climatica non può prescindere da quella sociale.

Domenica mattina entreremo invece nel cuore delle tematiche dei femminismi e della cura, guidate dalla filosofia permeante di Jennifer Guerra. Ci concederemo di immaginare che le cose possano essere diverse e cercheremo di individuare un orizzonte di azione per tendere a un’azione di cura femminista come possibile riscatto al modello sociale attuale, che non ci piace.

Concluderemo poi l’evento con la presenza di Christian Raimo, per comprendere il ruolo dell’educazione e l’importanza dello spazio democratico. Ci interessa particolarmente interrogarci su come legare attività sul piccolo territorio a tematiche molto più ampie, di respiro internazionalista. Vogliamo ricostruire convergenze che arrivino lontano.

Sappiamo che oggi le dinamiche di potere sono pervasive ma soprattutto interdipendenti. In che modo attivismo politico, movimenti per il clima e femminismo trovano unione nel vostro contesto?

Quello che cerchiamo di fare è mettere insieme diversi argomenti senza che siano scatole divise, cercando di vederli attraverso intersezionalità e convergenza che possano diventare base comune dei movimenti e delle lotte. Il sistema capitalista utilizza sfruttamento e oppressione attraverso una serie di sistemi trasversali, quindi anche la mobilitazione di popolo deve esserlo.

Le lotte dei diritti per il lavoro non sono separate da quelle femministe, dai percorsi migratori, o da quelle dei piccoli territori per l’ambiente.

Sabato sera, durante la proiezione del documentario “E tu come stai?”, avremo modo di vedere un esempio concreto, e vicino a noi, della convergenza di lotte che nascono come percorsi separati e che trovano poi un unico punto di azione, un unico orizzonte attorno a vicende concrete che coinvolgono persone reali nella lotta ai propri diritti.

Pensando ai movimenti del ‘69 da cui prendete spunto, in che modo il ruolo di una formazione collettiva, nell’unione delle lotte, può intervenire concretamente nelle dinamiche dell’Italia?

La dimensione collettiva ha bisogno di una sorta di fiammata a livello trasversale ma, al contrario di quanto alcuni pensano, non si sta perdendo. In Italia abbiamo tanti movimenti: Extinction Rebellion, Non una di meno, Fridays for Future, i movimenti sindacali, ecc. Rivedersi in una collettività oggi è facilmente possibile e queste muovono tante persone.

Ciò che stiamo imparando è che serve ripartire dai piccoli territori e lavorare giorno per giorno perché non si diventi solamente movimenti di opinione. Occorre essere in grado di occuparsi veramente della vita delle persone. Nello specifico delle classi popolari, che sono le più schiacciate dal sistema e quelle che faticano maggiormente a essere coinvolte nei movimenti, occorre ripartire dalle loro necessità per costruire movimenti di mobilitazione.

C’è un messaggio particolare che volete lanciare con questo camp?

Il messaggio di per sé è semplicemente che Autunno Caldo accada. Che le persone pensino che valga la pena mobilitarsi e decidano di prendersi il tempo per immaginare un’alternativa a ciò che stiamo vivendo. Non ci siamo dati uno slogan accattivante, perché non siamo una moda, né una fiamma passeggera. Il fatto che questa cosa accada in un territorio che per molti versi è statico, che fatica a recepire movimenti nuovi e che è anche un po’ conservatore, è già un messaggio.

Eventi come questo camp servono a ricordarci quanto il senso di comunità e le esperienze aggregative di menti e cuori ferventi possano dare vita a qualcosa di nuovo, a movimenti intersezionali di valore, rappresentando un baluardo per il cambiamento sociale, per non dubitare mai che “un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi e impegnati possa cambiare il mondo”, perché come sosteneva la famosa antropologa Margaret Mead, “in verità è l’unica cosa che è sempre accaduta”.

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