Storie

Milija Strika: «Quella volta che mi hanno detto: “Non pensavamo avessi i fianchi”»

Psicologa clinica a Milano e modella nel tempo libero, la sua #storiadisvolta arriva durante un set fotografico in cui subisce body shaming. Lei denuncia tutto su Instagram. Con grandissimo seguito
Foto di Emanuele Berardi
Foto di Emanuele Berardi
Tempo di lettura 3 min lettura
5 marzo 2022 Aggiornato alle 21:00

Milija Strika è una giovane psicologa clinica, impegnata tutti i giorni come tirocinante all’istituto pediatrico del San Raffaele. Ha 26 anni, è una ragazza brillante, sicura di sé e nel tempo libero, per divertimento, fa la modella. Il mondo della moda è difficile, insidioso e crudele, così le dicono tutti, ma lei vi si dedica a livello amatoriale e non vede quale sia il problema.

Una mattina arriva trafelata a una prova di abiti, quella che in genere avviene prima dello shooting. Le spiegano che dovrà indossare alcuni completi sportivi, lo fa, indossa il primo paio di pantaloni tecnici, ma il fotografo e lo stylist si comportano in modo insolito. Cominciano a confabulare fra loro, abbastanza forte perché lei possa intuire l’oggetto della discussione: i suoi fianchi.

«Sei sempre stata così o sei ingrassata?» le chiedono d’un tratto, senza troppi riguardi. «Questi pantaloni ti stanno proprio male, ti avevamo scelta ma non pensavamo avessi i fianchi». Non pensavamo avessi i fianchi. L’ultima frase le rimbomba nella testa come il suono assordante di una campana, fino a stordirla. Non cercano neppure il suo sguardo mentre lo dicono, come se stessero parlando direttamente con i suoi fianchi, mentre lei è poco più che un manichino da vestire. Dopo qualche secondo di stupore, Milija risponde per le rime. Se ne va, torna a casa con la mente in subbuglio per la rabbia e l’umiliazione.

Va tutto bene, non fa niente. Chiude la porta, a dire il vero la sbatte, sistema il cappotto sull’attaccapanni, abbandona la borsa sul tavolino all’ingresso e decide di prepararsi un tè. Non lavorerà mai più per quell’agenzia di moda, troverà altro. In fondo, non è successo niente.

Il fischio impazzito del bollitore sul fornello la desta da quel torpore e improvvisamente capisce che non va tutto bene e che qualcosa in realtà è accaduto. Deve riordinare le idee, ma sente di voler fare qualcosa di concreto e costruttivo. Alla fine, decide di condividere la sua esperienza di body shaming sul profilo Instagram, un po’ come sfogo personale, un po’ perché cerca comprensione. Nel giro di 24 ore riceve oltre 100 messaggi di solidarietà, chi le racconta aneddoti personali, chi semplicemente la ringrazia per essersi aperta, tra loro tante ragazze, alcune giovanissime, che sono arrivate a soffrire di disturbi alimentare dopo esperienze del genere.

Milija si sente punta sul vivo per due ragioni: la prima è che ovviamente il corpo sotto la lente di ingrandimento questa volta era il suo, la seconda è che si occupa di problemi alimentari per lavoro e ne conosce tante di storie iniziate così, con un commento insensibile pronunciato con noncuranza.

“Bisogna imparare l’empatia” dice e ha in cantiere un progetto fotografico inclusivo e di sensibilizzazione sul tema dei disturbi alimentari, per dare un volto alle tante storie arrivate in direct e raccontare che la bellezza non è racchiusa nella taglia di un pantalone.