Ambiente

Iran: è allarme siccità (a causa nostra)

Le conseguenze del cambiamento climatico si stanno abbattendo sul Paese. Ma anche i risultati di scelte politiche poco lungimiranti. E le tensioni geopolitiche si aggravano
Credit: EPA/AHMED JALIL
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28 luglio 2023 Aggiornato alle 13:00

Cosa succede quando le conseguenze del cambiamento climatico si abbattono su Paesi che soffrono già di per sé di periodi di siccità? È una domanda che è necessario porci, ed è una domanda la cui risposta può essere rintracciata con quanto sta accadendo in Iran.

In tutto il Paese, infatti, le persone stanno soffrendo, oltre al caldo, la carenza di acqua corrente, con i rubinetti che lasciano sgocciolare sì e no qualche lacrima torbida. E così nelle zone più rurali si prova disperatamente a prelevare acqua da una cisterna vicino al lago di Hamun, già prosciugato a maggio.

Dunque, se è pur vero che la scarsità di uno dei beni essenziali per la vita è un problema di lunga data dovuto a decenni di cattiva gestione, è anche sicuro che la situazione si sia aggravata a causa del cambiamento climatico.

E quando il popolo ha fame – in questo caso, sete – si rivolta: il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane ha lanciato un avvertimento contro le manifestazioni durante la sua visita nella regione del Khuzestan, particolarmente vulnerabile nei periodi di siccità e teatro di ricorrenti scontri.

I funzionari locali nella provincia del Golestan, nel nord-ovest del Paese, hanno implorato il Governo per avere cisterne d’acqua per scongiurare proteste. Ma ecco che, attraverso messaggi pubblici, le autorità scaricano la colpa ai talebani del vicino Afghanistan che avrebbero limitato il flusso d’acqua nel fiume Helmad, e agli eventi naturali, come inondazioni e caduta di massi che avrebbero interrotto il funzionamento delle dighe intorno a Teheran. Il dito, però, è stato puntato anche contro i cittadini, che avrebbero sprecato acqua ed elettricità.

Emergenza idrica: il risultato di scelte sbagliate

Le spiegazioni elaborate dai funzionari, tuttavia, hanno generato ulteriore malcontento: le persone intervistate in 6 province hanno raccontato che la crisi idrica non solo è insostenibile, ma anche in continuo peggioramento, e nessuno, ai piani alti, intende prendersene la responsabilità.

Per esempio, come spiega Kaveh Madani, direttore del think tank idrico delle Nazioni Unite, per moltissimi anni le autorità iraniane hanno cercato di calmare le richieste del settore agricolo costruendo dighe per deviare il flusso naturale e l’accumulo di acqua, motivo per cui si sono prosciugati lentamente i flussi superficiali di tutto il Paese.

Ma la cosa che preoccupa maggiormente è l’esaurimento delle riserve di acque sotterranee, danno che, secondo gli esperti, è ormai irreversibile: «I leader stanno cercando qualcosa da dire alla gente, per fornire loro una sorta di motivo per la loro negligenza nel corso degli anni» spiega un ex funzionario ambientale della provincia del Sistan e del Baluchistan. E prosegue: «La scarsità dell’acqua sta mostrando la loro incompetenza».

In questo preoccupante scenario, però, chi di dovere fa orecchie da mercante. Per esempio, i residenti della capitale il mese scorso si sono messi in fila per riempire alcune taniche dopo che l’acqua corrente ha smesso di raggiungere le loro abitazioni. Ma Mohsen Ardakani, amministratore delegato della Teheran Province Water and Waterwater Company, azienda pubblica, ha dichiarato ai media che si tratta di fluttuazioni idriche che riguardano un’area circoscritta. Eppure, molti residenti di Teheran e della vicina Karaj continuano a non avere acqua.

Un quadro dunque, quello dell’Iran, già di per sé complicato, ma che sta peggiorando sempre più a causa del cambiamento climatico. La regione, variamente composita dal punto di vista geologico, è una delle più vulnerabili alla crisi. E gli effetti sono già devastanti: con il diffuso aumento delle temperature medie, le condizioni meteorologiche estreme come tempeste di polvere e inondazioni si intensificano, così come si diffondono desertificazione e suoli salati.

Dopo anni di multe da parte degli Stati Uniti e relazioni ostili con l’Occidente, Teheran ha sovvenzionato l’agricoltura per garantire cibo e posti di lavoro. E il settore consuma circa il 90% dell’acqua disponibile, come conferma Soroosh Sorooshian, direttore del Center for Hydrometeorology and Remote Sensing presso la California University a Irvine.

Ad oggi, dopo un anno relativamente piovoso, i bacini idrici cruciali per la produzione di acqua potabile e irrigazione sono vuoti per oltre l’80%. Ma le autorità sono irremovibili, e continuano a costruire dighe e reindirizzare l’acqua, come se la crisi fosse a breve termine.

Madani spiega: «Non è possibile ripristinare laghi e zone umide in qualsiasi momento si decida, non si possono ripristinare a comando i livelli delle acque sotterranee o prevenire completamente le tempeste di sabbia e di polvere, la deforestazione e tutta la perdita di biodiversità».

Gli effetti geopolitici e gli squilibri interni

Le conseguenze della crisi stanno avendo anche ripercussioni a livello geopolitico. A maggio Teheran aveva accusato i talebani di violare un trattato sull’acqua siglato con il vicino Afghanistan nel 1973, limitando il flusso del fiume Helmad condiviso tra i due Pesi.

Ma le tensioni hanno raggiunto livelli più alti dopo che due guardie di frontiera iraniane e un soldato afghano sono stati uccisi durante gli scontri che si sono generati lungo il confine.

Secondo gli esperti, però, i talebani sarebbero soltanto uno capro espiatorio: l’ex funzionario, che ha raccontato al Washington Post la sua versione dei fatti in anonimato, ha spiegato che è plausibile che i talebani diano all’Iran la quota d’acqua dovuta, e che la situazione attuale sia il riflesso di decenni di scelte sbagliate e malgoverno.

Già negli anni precedenti ci sono state tensioni interne: nel luglio del 2021, nel corso di una forte siccità abbattutasi nella regione del Khuzestan, le forze dell’ordine hanno ucciso almeno 8 manifestanti dopo giorni di protesta contro il governo.

Ancora, a novembre 2021 anno sono state represse con la violenza le manifestazioni di sostegno agli agricoltori a Isfahan, la terza città più grande del Paese. «Dopo quelle violente proteste la natura ci è venuta in soccorso – racconta un testimone – e abbiamo avuto più pioggia. Ma assolutamente non è cambiato nulla nella gestione dell’acqua».

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