Diritti

NoiD Telecom: «Abbattere il gender gap è un obiettivo di business»

Cristina Carollo, presidente dell’associazione indipendente il cui obiettivo è valorizzare le donne nell’azienda, ha spiegato a La Svolta i motivi per cui è stata inviata una lettera aperta al CdA di Telecom Italia
Cristina Carollo, presidente NoiD Telecom
Cristina Carollo, presidente NoiD Telecom
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 7 min lettura
7 luglio 2023 Aggiornato alle 17:00

Più di 10 anni fa, nel 2012, è nata un’associazione indipendente che si pone l’obiettivo di valorizzare i talenti femminili all’interno dell’azienda, promuovendo uno stile di management inclusivo e orientato al merito e contribuire attivamente al superamento del divario di genere. L’associazione si chiama NoiD Telecom e germoglia all’interno del Gruppo TIM da un’idea di 60 colleghe dirigenti e quadri. Oggi ci sono circa 200 associate, ma contando i sostenitori si parla di circa 400 persone.

In nome di un confronto dialettico e propositivo con persone e istituzioni coinvolte sui temi della diversità, dell’equità e dell’integrazione, NoiD Telecom e il CNQ - Coordinamento Nazionale Quadri hanno scritto una lettera aperta indirizzata al Consiglio d’Amministrazione di Telecom Italia. Per capire quali siano i punti chiave, abbiamo chiesto a Cristina Carollo, presidente di NoiD Telecom, di raccontarli a La Svolta.

Che cosa chiedete nella lettera?

Chiediamo semplicemente di mantenere il focus sugli obiettivi del nostro Piano Industriale e perseguire l’interesse dell’azienda e di tutti i suoi stakeholders garantendone l’avanzamento nella sua articolazione operativa e straordinaria. Avendo fra le socie diverse manager e quindi un coinvolgimento diretto nella gestione della nostra azienda condividiamo in pieno gli obiettivi del nostro Piano. Il Piano 2023-2025 è stato varato circa un anno fa dal Consiglio di Amministrazione, e finalmente affronta quelli che sono i nodi da sciogliere per creare le condizioni che permettano a TIM e all’intero settore delle TLC in Italia di performare al meglio e di avere una prospettiva di lungo periodo.

Quali sono i nodi principali da sciogliere?

TIM è una grande azienda con competenze riconosciute e un ruolo strategico nazionale, ma non solo: è anche un’azienda valoriale. Ha guidato negli anni l’evoluzione del business delle telecomunicazioni, ma non sempre è stata accompagnata da adeguate scelte di politica industriale e delle Autorità di settore, anche a livello europeo. Le condizioni di eccessiva concorrenza imposta agli operatori del settore da alcune scelte del passato hanno reso poco sostenibile il business e soprattutto scoraggiano quegli gli investimenti di cui il settore ha bisogno. Inoltre, è necessario risolvere il tema del debito strutturale di TIM sposando l’opportunità di non avere più un’azienda verticalmente integrata, ma dando vita a un nuovo contesto con, da una parte, una rete che abbia una neutralità di fatto e, dall’altra, una serie di aziende che competono sul mercato con la necessaria agilità.

Sui prezzi wholesale si sono, negli ultimi mesi, fatti passi avanti riconoscendo a TIM, a lungo considerata un operatore monopolista, di poterli adeguare all’inflazione come le altre aziende energivore; ciò grazie alle azioni messe in atto dal nostro management in esecuzione del Piano. Un altro tema posto sul tavolo è quello della fair share, e cioè far partecipare gli operatori cosiddetti OTT (Google, Facebook, ecc.) ai costi delle reti evolute che questi utilizzano e alle cui performace sempre più avanzate devono il loro successo. Questi temi sono all’interno del nostro Piano Industriale, ed è necessario continuare a portarli avanti con convinzione e con forza, come fatto finora.

Negli ultimi mesi, abbiamo assistito a una sorta di empasse anche per gli atteggiamenti di alcuni shareholder, che hanno un diritto legittimo a far valere i loro interessi, ma anche il dovere di tenere in considerazione l’interesse prioritario di TIM e degli altri suoi stakeholders. Chiediamo al Cda che gli obiettivi del Piano Industriale approvato lo scorso anno vengano portati avanti fino in fondo; oppure che vengano date indicazioni chiare al management circa un piano alternativo che abbia comunque fra gli obiettivi la soluzione dei citati problemi strutturali. Noi siamo una grande azienda e abbiamo bisogno di andare velocemente verso il nostro futuro, non possiamo stare fermi.

La vostra associazione nasce nel 2012 da un gruppo di donne del gruppo Telecom Italia come una sorta di interlocutore dell’azienda, soprattutto per le tematiche di parità di genere. Nel tempo avete riscontrato un’evoluzione in questi termini?

Sicuramente si nota un grande impegno, soprattutto negli ultimi 2 anni, a riconoscere, intanto, che esiste un divario di genere e a compiere azioni concrete per superarlo. Di recente l’azienda, su nostra proposta, ha fatto un piano di empowerment per giovani donne che possono essere poi candidabili alle posizioni organizzative; questo incrocia anche il piano di prepensionamenti fino a novembre 2023, cui si cerca di abbinare candidature di donne talentuose e meritevoli. E l’anno scorso è stato dato a tutti i responsabili un obiettivo di ribilanciamento del gender gap nelle posizioni organizzative. Dunque un percorso avviato c’è e i risultati si cominciano a vedere, ma la situazione di partenza è tale per cui bisogna rimanere molto focalizzati, molta strada ancora è da fare.

Parlando di numeri, nel gruppo TIM le donne responsabili sono il 28%, una cifra inferiore di 10 punti percentuali rispetto alle donne alla base (38%). Questa incidenza è migliorata negli anni ma si può fare di più: l’azienda si è data come obiettivo di raggiungere una percentuale superiore al 29% entro il 2025. Dunque bisogna darsi obiettivi più sfidanti e continuare con azioni concrete.

Come fa un’associazione che lavora all’interno di un’azienda a incidere nelle scelte dell’azienda stessa?

Ricordo che, anche se NoiD Telecom è composta da donne dell’azienda, l’associazione è autonoma. E procede portando avanti delle argomentazioni solide, comportandosi in maniera affidabile e usando anche dei mezzi che la rendano visibile, come nel nostro caso il sito e il profilo LinkedIn. Lì abbiamo creato un luogo dove discutere, anche con persone che non sono d’accordo con i nostri temi, e proporre le nostre argomentazioni, che sotto hanno sempre un ragionamento, un substrato. Il tema dei gap di genere non è qualcosa che abbiamo inventato noi, è riconosciuto in tutto il mondo e va affrontato in maniera professionale e adottando gli strumenti che si usano nell’azienda, come per esempio il nostro Osservatorio sul Gender Gap.

Anni fa abbiamo aderito a Inclusione donna, una rete di associazioni al femminile che fa massa critica quando si tratta di parlare con le Istituzioni, con il Governo, con il Parlamento. L’anno scorso attraverso questo network abbiamo partecipato alla redazione di quella che poi è diventata la legge UNI/Pdr 125 per la certificazione delle aziende per la parità di genere. Infine, la nostra associazione sta avendo sempre più adesioni sul territorio, con poli che sono nati di recente a Milano, Torino e Napoli, e per la prima volta il prossimo 11 luglio faremo una grande festa a Roma e in contemporanea con le donne di queste sedi.

È possibile avviare un processo simile anche in altre aziende, magari adottando lo stesso metodo?

Secondo me è possibile, però ci vuole sempre una spinta dal basso. Io credo che il “successo” di questa operazione risieda proprio nelle persone, che poi si sono date dei metodi e li hanno portati avanti. Telecom Italia è una società a vocazione ingegneristica e per lungo tempo ha operato come un mondo riservato agli uomini. È per questo che si trovano ancora delle resistenze. Bisogna saper costruire quel modello di leadership valoriale vincente sul mercato, che poi significa usare bene le risorse, e usare bene le risorse vuol dire rendere le organizzazioni più performanti. È dalla capacità del management e dalla consapevolezza di fare queste cose che nasce la vocazione di un’azienda a superare il gender gap.

Ci può dare una serie di linee guida da seguire per azzerare il gender gap?

Certamente ci vuole un approccio strutturato. Siccome è un obiettivo di business, per raggiungerlo è necessario agire in logica di progetto: si inizia e si finisce, ci si danno degli obiettivi specifici e si misurano le cose. Poi l’altra cosa necessaria è avere un ingaggio specifico, come quando si fa un piano d’azione per lanciare un nuovo prodotto: verranno coinvolti il marketing, le vendite, insomma tutti i responsabili sotto l’amministratore delegato sapranno che quel prodotto deve essere lanciato sul mercato il giorno X e dovrà avere una specifica redditività, con una previsione di clienti. La stessa cosa deve avvenire con il gender gap: se vogliamo avere più donne nell’organizzazione, tutte le prime linee devono sapere che avranno il loro obiettivo, per avere più donne nella loro funzione. Infine, un budget dedicato: in questo caso, per colmare il gender pay gap, bisogna riequilibrare una situazione retributiva. E bisogna fare delle misure periodiche, andando a vedere i risultati nel continuo, anche per capire se sia utile fare delle azioni correttive.

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