Economia

Farmaci, Ssn: abbiamo speso 20 miliardi nel 2022

Nel 2021 erano circa 19 miliardi, mentre nel 2023 si potrebbero superare i 21. Come evidenzia l’Agenzia Nazionale del Farmaco, i costi sembrano crescere di circa 1 miliardo ogni anno
Credit: cottonbro studio.         
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12 maggio 2023 Aggiornato alle 12:00

Gli ultimi dati pubblicati dall’Agenzia Nazionale del Farmaco evidenziano una crescita dei costi dei medicinali di circa 1 miliardo di euro ogni anno. Un bel problema per un sistema come il nostro, dove il pay back grava sulle aziende.

Partiamo da una certezza: il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) in Italia garantisce la cura e la tutela della salute, permettendo a ogni individuo l’accesso all’assistenza sanitaria in maniera gratuita (salvo il pagamento di un ticket). Purtroppo, però, in un Paese in cui il debito pubblico continua a salire e i fondi alla sanità continuano a subire tagli, non sempre tutto ciò è possibile.

È anche per questo motivo che è diventata indispensabile l’attuazione di una pianificazione finanziaria all’insegna dell’economicità, dove quantità e livello di prestazioni sanitarie concesse siano regolate.

Anche nell’ambito dei medicinali è stato introdotto un sistema di governance che prevede 2 tetti massimi dei livelli assistenziali che possono essere raggiunti: il primo riguarda la farmaceutica convenzionata, ovvero tutte quelle medicine che vengono acquistate in farmacia tramite la ricetta sanitaria; mentre il secondo è per la farmaceutica ad acquisto diretto, legata ai medicinali ospedalieri.

La normativa fissa una percentuale sul fabbisogno sanitario nazionale standard che è pari al 14,85%, oltre la quale è previsto un sistema di rimborso che grava tramite il pay back sulle aziende e, in parte, sulle Regioni.

Ogni anno la normativa ha la possibilità di incrementare o ridurre le singole percentuali anche in relazione all’oscillazione dei prezzi dei medicinali e del fabbisogno assistenziale. Analizzando approfonditamente i budget di riferimento, emerge un problema persistente: un collo di bottiglia. Se da un lato, nella farmaceutica convenzionata, una parte del budget di riferimento rimane inutilizzata (nel 2022 si sono raggiunti quasi 730 milioni di euro), dall’altro tra i farmaci distribuiti negli ospedali si crea un enorme disavanzo. Lo scorso anno su un tetto di circa 9 miliardi e mezzo di euro ne sono stati spesi 12.249 miliardi, con un gap in negativo di 2.694 miliardi. Una cifra che dovrà essere sostenuta per il 50%, e dunque per oltre 1,3 miliardi, dalle aziende farmaceutiche e per la parte restante dalle Regioni.

Un sistema spesso al centro di dibattiti e critiche a causa dell’incertezza che grava sulle imprese, le quali finiscono per sobbarcarsi un onere del quale non hanno responsabilità; un sistema ormai arrugginito che non fa che incrementare le spese dello Stato, alle quali quest’ultimo non riesce a rispondere. Nel 2022 secondo l’Agenzia Italiana del Farmaco sono stati spesi 20.504,6 miliardi di euro, mentre nel 2021 eravamo a 19.456,7 miliardi. Una crescita che procede a ritmo decisamente troppo sostenuto e che potrebbe, nel 2023, superare i 21 miliardi. Secondo le stime di Iqvia, la spesa farmaceutica ad acquisto diretto arriverà a 13 miliardi a fronte di un tetto stimato di circa 9,7 miliardi di euro.

In questo contesto, in cui gli interessi in gioco sono molteplici, diventa fondamentale il ruolo delle istituzioni a tutti i livelli: perché se da una parte è necessario contenere i costi, dall’altra è fondamentale garantire l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini e investire sull’innovazione, incoraggiando il progresso medico.

Con questi obiettivi, la Commissione Europea ha presentato una proposta per riformare il settore farmaceutico, intervenendo sulle disposizioni per la tutela regolatoria. Infatti, l’introduzione di nuovi farmaci sul mercato è sottoposta a una tutela brevettale, che protegge l’invenzione e che è valida per 20 anni, e una tutela dei dati regolatori di 10 anni (che si dividono in 8+2).

La proposta della Commissione è di ridurre questo lasso di tempo a 6 anni, permettendo dopo questo periodo a un’altra azienda che vuole produrre un generico o biosimilare di utilizzare i dati del farmaco e iniziarne il processo di valutazione all’Ema (Agenzia Europea per i Medicinali). Così che, previo esito positivo, dopo altri 2 anni di esclusiva del mercato il farmaco possa essere distribuito, fatta salva la presenza di periodi aggiuntivi di tutela cumulabili che permettono di arrivare fino a 12 anni per aziende particolarmente innovative.

Un meccanismo che, tuttavia, necessita di trovare un equilibrio perché, se è vero che l’innovazione è fondamentale, è anche vero che sono proprio questi i farmaci con un costo maggiore. Il rischio è quello di aggravare il peso dei conti pubblici senza incrementare l’accessibilità delle medicine rendendo l’innovazione una scelta d’élite.

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