Ambiente

Europa: la vita selvaggia è divisa tra tutela e mala gestione

Nonostante i programmi per la protezione di flora e fauna, sempre più Paesi rilasciano quote di uccisione per diversi animali. Adducendo ragioni che solo noi comprendiamo
Credit: Kian Lem

A marzo fa, nella foresta di Tarvisio, due femmine di lince sono corse tra gli alberi poco prima che sulle Alpi Giulie scendesse l’oscurità. Margy e Sofia, come sono state chiamate, saranno presto raggiunte da altri tre esemplari provenienti da Romania e Croazia. L’obiettivo è ripopolare e rinforzare geneticamente il nucleo italiano di Lince eurasiatica (Lynx lynx) che, a oggi, consta di 2, o al massimo 3 individui stanziali, e qualche altro esemplare di passaggio. ​​

L’attività di ripopolamento fa parte di ULyCA2 (acronimo di Urgent Lynx Conservation Action) che si inserisce nel più ampio progetto europeo LIFE Lynx e mira a prevenire l’estinzione della lince nei Monti Dinarici e nelle Alpi Sud-Orientali attraverso misure di rinforzo e conservazione.

La lince eurasiatica, infatti, è considerata il mammifero più raro del panorama faunistico italiano ed è costantemente sull’orlo dell’estinzione da quando, a cavallo tra ‘800 e ‘900, il suo habitat si è ridotto drasticamente e, oltre a essere cacciata per la sua pelliccia o perché considerata una specie nociva, le sue prede sono state decimate dall’attività venatoria. Poi, negli anni ‘70, svariati progetti di reintroduzione hanno portato a un suo timido ritorno che, però, continua a essere minacciato dall’impoverimento genetico e dal rischio di inbreeding, ovvero l’accoppiamento tra consanguinei che influisce sulla fertilità e sulla salute della prole.

Nel frattempo, quello che è uno tra i più grandi animali terrestri europei, estinto in natura un secolo fa, ha ricominciato a galoppare numeroso sul suolo del vecchio continente. Grazie a un progetto di conservazione ex-situ e reintroduzione in natura, infatti, il bisonte europeo si aggira ora anche nelle campagne del Kent, in Inghilterra, dove si spera che il comportamento naturale di questi erbivori trasformi quella che è a oggi una fitta pineta a uso commerciale, in un bosco naturale. A beneficiarne, oltre all’ecosistema e a tutte le specie che vi dipendono saranno anche le persone visto che la ripresa del bosco donerà all’Inghilterra, e all’intero Pianeta, un pozzo di carbonio più efficiente contribuendo attivamente alla lotta contro la crisi climatica.

Nel frattempo, la foca monaca (Monachus monachus) è tornata a fare capolino tra le onde del Mare Nostrum, lo stambecco (Capra ibex) - quasi estinto nel 19° secolo - consta ora di una popolazione di più di 53.000 individui ed è forse il caso di reintroduzione di maggior successo di tutta Europa, mentre lo sciacallo dorato (Canis aureus), a seguito della forte espansione partita dal Caucaso e dall’Europa centro orientale, è ora presente stabilmente sul territorio Italiano e si sta spostando sempre più a Sud.

Ma non eravamo sull’orlo della sesta estinzione di massa?

La risposta, purtroppo, è sempre sì. Cambiamenti climatici, perdita di habitat, inquinamento, sovrasfruttamento e diffusione di specie aliene continuano a rappresentare una grave minaccia per la biodiversità ma fortunatamente, negli ultimi anni, i progetti di reintroduzione e ripopolamento si sono moltiplicati e hanno dimostrato di funzionare così bene da favorire il ritorno allo stato selvatico di molte aree consentendo, inoltre, ai processi naturali di rimodellare e migliorare gli ecosistemi.

Quanto detto fino a ora rientra in quello che viene chiamato rewilding e che, oltre a essere una vera e propria strategia di conservazione su larga scala, si pone come una nuova visione del rapporto tra uomo e natura dove, quest’ultima, deve essere lasciata libera di modellare i paesaggi in modo dinamico migliorando quella che è la resilienza degli ecosistemi. Una strategia che, a ben vedere, racchiude i principi base della cosiddetta restoration ecology - o restauro ecologico - un processo finalizzato a ricostruire ecosistemi degradati, danneggiati o interamente distrutti sfruttando l’intervento del suolo e delle comunità vegetali e animali, in modo da ripristinarne la traiettoria di sviluppo.

Così, se in Europa nella prima metà del XX secolo numerose specie sono state condotte sull’orlo dell’estinzione da millenni di caccia, sfruttamento e perdita di habitat, negli ultimi 50 anni lo sforzo di organizzazioni votate alla conservazione - come la Zoological Society of London o Birdlife International - hanno permesso il ritorno di numerose specie, in particolare tra i mammiferi. Tra questi, le popolazioni di tasso eurasiatico hanno registrato un aumento medio del 100%, mentre le lontre eurasiatiche sono in media triplicate, così come il cervo rosso per cui si è registrato un aumento del 331% mentre la presenza del castoro eurasiatico è aumentata in media di 167 volte.

Ai progetti di conservazione si sono unite, negli ultimi anni, anche le politiche e ora, la maggior parte dei mammiferi è inserita in programmi di protezione a livello regionale, nazionale e comunitario, come la Direttiva Habitat, la Convenzione di Berna e la Cites (la Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione).

Quel brutto vizio di “voler gestire” la natura

Se quanto detto fino a ora fa ben sperare, dall’altra va sempre ricordato che una delle caratteristiche tipiche dell’essere umano è quella di pensare di poter governare la natura ponendosi al di sopra di leggi da cui noi stessi dipendiamo.

Così, se da un lato lavoriamo duramente per riportare la natura laddove l’abbiamo quasi estirpata, dall’altra elaboriamo dati che poi usiamo per decidere quanti individui di specie diverse dalla nostra hanno il diritto di vivere in una determinata regione adducendo ragioni che solo noi comprendiamo.

È il caso della Svezia dove, da gennaio, ha luogo la più grande caccia al lupo che il Paese abbia conosciuto negli ultimi decenni. Lo Stato, infatti, ha rilasciato delle quote di uccisione che permetteranno di eliminare ben 14 branchi per un totale di 75 lupi dei 460 presenti sul territorio, inclusi i cuccioli nati in primavera.

Il motivo è un’apparente sovrappopolazione della specie in alcuni distretti e l’aumento dei casi di conflitto con l’uomo.

Motivazioni che vanno contro non solo alle leggi dell’ecologia ma anche al buon senso visto che, a oggi, esistono strumenti educativi ed economici finalizzati proprio a mitigare situazioni di incontro e scontro con la fauna selvatica.

Sempre in Svezia, Paese membro dell’Unione europea, il Governo ha recentemente autorizzato l’uccisione di 201 esemplari di lince su una popolazione di 1450 individui.

L’animale è descritto come specie di interesse comunitario che richiede specifiche aree di conservazione - come da Allegato 2 e 4 della Direttiva Habitat 92/43/CE, oltre a essere inserita nell’Allegato 3 della Convenzione di Berna del 19 Settembre 1979 inerente le specie faunistiche protette in Europa e che richiedono specifiche normative nella gestione.

Un paradosso se pensiamo che i progetti di reintroduzione e ripopolamento vengono normalmente finanziati proprio dall’Unione europea attraverso programmi come Life+ o Horizon Europe.

Ma il balletto tra tutela e “gestione antropica” si svolge anche in molti altri Paesi e, se possibile, in modo ancora più sconsiderato. Tralasciando per un attimo l’emendamento alla legge di bilancio voluto da Fratelli d’Italia, che liberalizza di fatto la caccia di selezione ovunque e in qualunque momento - ivi comprese le aree urbane e quelle protette anche nei periodi di divieto - in Nord America, e più precisamente nel Montana (Stati Uniti), negli ultimi 5 anni sono stati uccisi 1443 lupi, con metodi che includono l’utilizzo di tagliole, lacci di ferro e veleno fino all’utilizzo di motoslitte e l’eliminazione delle femmine impegnate ad allattare i propri cuccioli nella tana.

Nel 2021, in Idaho, il Governo ha concesso l’uccisione del 90% dei lupi presenti sul suo territorio. E la lista potrebbe continuare includendo quasi ogni paese del Pianeta.

Un passo avanti, due indietro

Pratiche come quelle che continuano a essere incentivate negli Stati Uniti, e che si stanno diffondendo sempre di più anche in Europa, sono in contraddizione non solo con la scienza ma anche con quelle che sono le strategie di conservazione sviluppate e finanziate negli ultimi anni e che sottolineano i vantaggi del ritorno della vita selvatica e l’importanza dei predatori come regolatori degli ecosistemi.

Così, mentre Margy e Sofia esplorano quella che è la loro nuova casa, trovando riparo e protezione nella Foresta di Tarvisio, altrove c’è chi scruta tra gli alberi in cerca di una preda, incapace com’è di rinunciare all’idea che la natura debba essere lasciata libera di esprimersi da sola.

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