Diritti

Chiamatela con il suo nome: misoginia

Antifemministi? Per carità: al Circolo Aniene di Roma entrano solo i maschi. Gli stessi che, come il premier inglese Boris Johnson, non mollano mai il potere e celano una complicità ostile
Boris Johnson
Boris Johnson
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2 febbraio 2022 Aggiornato alle 08:00

Al Circolo Canottieri Aniene di Roma entrano solo i maschi. Non è l’unico, in città o in Italia, ma è uno dei più celebri. Non per consuetudine o per effetto degli stessi meccanismi subdoli che tengono le donne lontane dalla politica senza escluderle in maniera esplicita, ma per statuto: l’adesione è ristretta ai membri di sesso maschile sopra i 18 anni. Le donne possono essere socie onorarie “per meriti sportivi”, e solo in quel caso hanno diritto di voto; tutte le altre iscritte al circolo sono escluse dalla possibilità di essere socie effettive. Le socie onorarie – vale a dire quelle che sono si sono guadagnate il titolo perché erano brave, bravissime, straordinarie nella loro disciplina – sono in tutto 5. Dici: si saranno dimenticati di aggiornarsi al Ventunesimo secolo? No: l’ultima modifica dello statuto è del 2019, a quarta ondata femminista abbondantemente in corso. I dettagli li ha raccontati Viola Giannoli su Repubblica, e sono desolanti.

Lasciamo perdere per ora le pietose giustificazioni dei presidenti del Circolo Canottieri, che a fronte di una discriminazione di genere scritta bella chiara cercano di far passare l’idea che il loro non sia “antifemminismo”, anzi, per carità, guarda quante concessioni hanno fatto al genere femminile, negli ultimi 15 anni (troppa grazia). Concentriamoci, per ora, su due aspetti. Il primo è l’estensione della possibilità di associarsi solo alle donne che siano in grado di provare la propria eccellenza. Se ci suona familiare, forse è perché abbiamo ancora nelle orecchie le uscite su Una Donna presidente, quella che – con forse un po’ troppo ottimismo – avevo sperato di poter congedare la settimana scorsa. “Una Donna in gamba” hanno specificato Salvini e Conte, nell’annunciare non un nome ma una rappresentanza di genere, con l’atteggiamento di trionfo di chi ve la sta facendo vedere, altro che le vostre chiacchiere. Una Donna aveva un nome, Elisabetta Belloni, ed è finita come sappiamo. Che fosse “in gamba” è sembrato necessario specificarlo: a quanto pare non era scontato. Del resto, doveva esserlo. Solo gli uomini hanno il permesso di essere mediocri, e si è visto molto bene anche nel modo in cui sono state condotte le trattative per arrivare a non trovare un successore per Sergio Mattarella.

L’uomo mediocre non si preoccupa mai di esserlo. Va nella vita e nel lavoro forte della sua inconsapevolezza e del fatto che nessuno gli chiederà mai di provare di essere all’altezza dello spazio che occupa e del ruolo che ricopre. Il suo è quasi un diritto di nascita, niente per cui debba fare i salti mortali o affrontare davvero la concorrenza: le concorrenti pericolose, del resto vengono fatte fuori prima a colpi di bullismo, discriminazione, orari inflessibili e riunioni piazzate in tarda serata, o all’ora in cui dovrebbero essere a recuperare i bambini a scuola, quando non direttamente votando perché non possano diventare socie di un circolo prestigioso.

Se gli scintillanti esempi di casa nostra – “scintillanti” si fa per dire, perché se c’è una cosa che manca qui è proprio la brillantezza – non dovessero essere sufficienti, prendiamo il caso di Boris Johnson. Lo so, non sta bene dire che un capo di governo è un miracolato, ma se la regina è ben vestita, a essere nudo qui è il Primo Ministro, che sta già alla terza tornata di scuse e umiliazione pubblica per uno scandalo contemporaneamente gigantesco e profondamente meschino. Per chi non seguisse la politica estera: Johnson è sotto accusa perché è emerso che durante il primo lockdown, quando i cittadini del Regno Unito non potevano vedere più di una persona al di fuori del loro nucleo familiare e dovevano rinunciare a dare un ultimo saluto ai loro cari che morivano in un’epidemia di Covid che è poco definire “fuori controllo”, lo staff di Downing Street organizzava regolarmente festicciole con livelli di intossicazione alcolica che neanche un raduno degli Alpini. Durante le interrogazioni parlamentari sul tema, la più feroce con Johnson è stata la compagna di partito Theresa May, ossia la donna a cui Johnson ha scippato il posto approfittando del pasticcio combinato intorno alla Brexit. Fissandolo con quello che non si può definire in altro modo che autentico odio, May gli ha domandato: non conosceva le regole, non le ha lette, o pensava che non si applicassero alla sua persona? Scelga.

Johnson si è dimesso? No. Rimane lì, aggrappato a una poltrona sospesa sull’abisso: ogni minuto in cui rifiuta di dimettersi è un’ulteriore ferita inflitta a un’immagine della politica già in grossissima crisi, oltre che a un partito in crollo verticale nei consensi. Se Johnson fosse stato una donna, si sarebbe dimesso settimane fa, quando il numero di feste, festine, festicciole, raduni, incontri e gozzoviglie nel palazzo che ospita il suo ufficio ha cominciato ad alzarsi, è intervenuta la Metropolitan Police ed è partita un’indagine. Se Johnson fosse una donna, a farlo dimettere sarebbe stata la gestione discutibile della pandemia, con tanto di affermazioni raggelanti sul prepararsi a dire addio ai propri cari, come se morire di Covid fosse inevitabile. Se Johnson fosse una donna, si può tranquillamente dire, non sarebbe mai diventato Primo Ministro, e nemmeno sindaco di Londra: al confronto, May – pure lei, non proprio un’eccellenza: del resto era lì a raccogliere i cocci lasciati da Cameron – sembra una statista di prim’ordine. E la Brexit è stata comunque un pasticcio.

Ma torniamo per un attimo alla questione del Circolo Canottieri, perché c’è un secondo aspetto da considerare, ed è forse quello più invisibile e insidioso. Nessun uomo ti dirà mai in faccia che non ti vuole nel suo spazio: ma nelle loro segrete stanze, gli uomini – specialmente quelli sopra i 50 – sono capacissimi di votare per tenere le donne fuori dalla porta. Negheranno l’evidenza, si aggrapperanno alla “tradizione”, rifiuteranno di chiamare le cose con il loro nome, e quel nome è “misoginia”. Quella complicità ostile esiste anche quando non viene riconosciuta. La vediamo nei festival senza donne, nelle conferenze stampa senza donne, nelle delegazioni di partito senza donne, continuate a piacere. La vediamo in azione lì dove nessuno si pone il problema e trova tutto perfettamente normale, ma anche dove l’esclusione di chiunque si collochi al di fuori del paradigma maschio-bianco-anziano-borghese-eterocis è una scelta di protezione dei propri privilegi. È lo scoglio contro cui ci schianteremo sempre, per poi sentirci dire: si vede che non eri brava abbastanza.