Diritti

Addio Una Donna, non ci mancherai

È durata poco ma pensiamo positivo: anche se al Quirinale salirà il solito Mosè, noi non potevamo fare di meglio
La ministra della Giustizia Marta Cartabia
La ministra della Giustizia Marta Cartabia
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26 gennaio 2022 Aggiornato alle 08:00

Partiamo dal presupposto che sono d’accordo, d’accordissimo con quello che scriveva l’altroieri Jonathan Bazzi su Twitter a proposito dell’elezione del nuovo presidente: “Il guaio di ‘sto Paese è che si parla si parla ma poi la si risolve sempre con la carta del buon vecchio padre di famiglia, meglio se prossimo all’età di Mosè e cattolico.”

Eppure voglio provare a essere positiva. I segnali del cambiamento ci sono: deboli come le trasmissioni radio dallo spazio profondo, ma inconfondibili. Non coglierli significherebbe cedere alla tentazione di un disincanto che non può che nuocere alla causa dello smantellamento del potere patriarcale e della centralità degli uomini bianchi e borghesi nella definizione delle regole (quali? Tutte. Quelle che contano, quantomeno: e sono sempre loro a decidere quali sono quelle che contano). È indiscutibile che la scelta della persona che andrà a occupare la più alta carica dello Stato sia partita dalle solite premesse: vale a dire una serie di nomi di uomini, più o meno credibili, e Una Donna. Una sola, Una di nome e Donna di cognome. Una, e destinata a essere nominata solo in fase preliminare, perché i tempi lo richiedono, una sorta di atto dovuto, di cortesia a un intero genere. Un buffetto. Poi si passa alle cose serie, vale a dire a discutere fra uomini di cose di uomini.

Da che ho memoria, è la prima volta che in fase di contrattazione Una Donna si scinde in più donne, acquisisce un nome, anzi, più nomi, una carriera, se ne parla non come simbolo di un genere ma come figura politica, si ipotizzano configurazioni. Marta Cartabia: al Quirinale o a Palazzo Chigi? Maria Elisabetta Alberti Casellati avrà forse le carte in regola per subentrare al leader del suo partito come espressione del centrodestra? E che diciamo di Elisabetta Belloni, dark horse della gara che per ora non sembra avere possibilità significative, ma che è stata nominata con tanto di curriculum?

Certo, stiamo parlando di un certo tipo di donna: e fino qua l’unica ad avere qualche chance è proprio Cartabia, una conservatrice vicina a Cl. Se davvero l’attuale ministra della Giustizia dovesse riuscire nell’impresa di vedersi assegnato una carica finora di fatto preclusa alle donne, la sua elezione o nomina non porterebbe certo un grande scompiglio. Il sistema applaudirebbe e potrebbe assolversi dei suoi peccati: finalmente una donna, da qua in poi nessuna è più autorizzata a parlare di discriminazione, se ce l’ha fatta lei evidentemente ce la potete fare tutte. Resta il fatto che a questo giro Una Donna è durata poco, ma le donne non sono scomparse dalla discussione.

Il 23 gennaio Ayesha Malik è diventata la prima donna a sedere alla Corte Suprema del Pakistan: come giudice, ha messo fuorilegge i test di verginità nei casi di stupro. Non sappiamo quante Una Donna ci saranno volute per ottenere questo risultato, ma sappiamo che la nomina di Malik non si è materializzata spontaneamente. È il frutto di anni di pressioni, campagne e attivismo culturale. Se Cartabia, Casellati, Belloni e le altre candidature più o meno scoperte che sono state proposte in questi giorni dovessero durare nella discussione pubblica, sarebbe solo grazie all’insistenza di chi in questi anni ha spiegato e rispiegato che la sottorappresentazione delle donne in politica è contemporaneamente spia e causa di un problema sistemico, e a questo problema bisogna porre rimedio smettendo di raccontarsi di essere lontani dalla misoginia.

Dai che ti ridai, la scelta ricadrà quasi sicuramente su un altro Mosè con la cravatta: ma forse a questo stadio non si poteva fare di meglio, date le premesse. Se ne riparla fra 7 anni, e speriamo che per allora Una Donna sia andata definitivamente in pensione.

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