Ambiente

L’attivista morto per difendere la foresta di Weelanuee

Manuel Esteban Paez Terán è stato ucciso durante un blitz della polizia. Aderiva al movimento di difesa del polmone verde di Atlanta, dove sarà costruito un centro d’addestramento avanzato
Credit: Via instagram.com/@defendatlantaforest
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3 febbraio 2023 Aggiornato alle 21:00

È morto così, colpito da uno sparo mentre tentava di difendere la foresta di Weelanuee, il polmone d’Atalanta (in Georgia), Manuel Esteban Paez Terán, attivista 26enne.

Aderiva al movimento Stop cop city, da oltre un anno in protesta contro la decisione del consiglio comunale di Atlanta di abbattere parte della South River Forest, area boschiva appena fuori dalla città, per farne un avanzato centro d’addestramento di polizia e vigili del fuoco.

La dinamica non è chiara. Di certo c’è solo il tragico esito del 25 gennaio scorso.

Durante un blitz della polizia, intervenuta nel tentativo di far sgomberare i manifestanti che da una settimana erano accampati nell’area, un colpo di pistola, sparato da un agente non identificato, ha colpito Tortuguita – questo il soprannome dell’attivista – rimasto esanime al suolo.

Le versioni fornite dai presenti sono contrastanti: la polizia – coadiuvata nello sgombero dall’Fbi e dal Georgia bureau of investigation – sostiene la legittima difesa seguita a un primo sparo dello stesso Terán, per gli agenti in possesso di una pistola. Ma familiari e attivisti contestano la ricostruzione e chiedono un supplemento d’indagine: mancano riscontri, infatti, sulla presenza di un’arma in mano all’attivista e perdipiù mancano i filmati delle bodycam degli agenti, spente durante il blitz.

Alla base delle proteste, come si accennava, c’è un progetto approvato dal comune di Atlanta – a guida della sindaca Keisha Lance Bottoms - che mira a disboscare parte della South River Forest, per dar vita a un centro d’addestramento di polizia.

Il piano, qualora dovesse essere ultimato, porterebbe nella città della Georgia uno dei centri più all’avanguardia degli States. Comprensivo di un poligono di tiro e un corso di guida per praticare inseguimenti ad alta velocità, oltre a un intero villaggio simulato dove la polizia si allenerebbe per condurre raid. Il tutto per una spesa complessiva di 90 milioni di dollari. E soprattutto a scapito di un’area – non a caso definita il polmone d’Atlanta – la cui copertura arborea preserva la salubrità della zona, filtrando l’aria e fornendo difesa contro i forti acquazzoni.

Da qui la protesta degli attivisti, avviata oltre un anno fa e condotta tramite sit-in, barricate e, in ultimo, proprio con l’occupazione della zona, in cui dallo scorso 18 gennaio erano state montate delle tende. In una di queste, ha trovato la morte lo stesso Terán, che ha causato un ulteriore esacerbazione del conflitto.

Dopo l’uccisione, i manifestanti sono scesi in strada per rivendicare la lotta contro il progetto e protestare per l’assassinio dell’attivista.

Alcune proprietà sono state danneggiate, molti attivisti arrestati e accusati di terrorismo interno. Il governatore della Georgia, Brian Kemp, ha dichiarato lo stato di emergenza, che autorizza a portare un migliaio di soldati della Guardia Nazionale con il rischio di peggiorare il conflitto, già molto aspro anche per ragioni politiche.

Non va dimenticato, infatti, che il sito è stato sottratto, circa 200 anni fa, agli indigeni Muscogee, che venerano la foresta da loro detta Weelaunee. A seguire ci fu la deportazione delle tribù native americane e il trasferimento dell’area nelle mani della ricca èlite di proprietari terrieri che gestivano le piantagioni di cotone.

Per questo, la costruzione del centro di addestramento assume, dunque, una connotazione ancor più spregiativa. Specie per i cittadini dei quartieri limitrofi, a maggioranza afroamericani. Per appianare il conflitto, ora che le proteste sono divampate, c’è chi ha suggerito un referendum che coinvolga la cittadinanza. Ma per il momento le autorità rigano dritto, secondo una tendenza repressiva fotografata anche da Global Witness, secondo cui negli ultimi 10 anni sono stati uccisi circa 1.700 attivisti, 200 dei quali - quasi tutti appartenenti a minoranze indigene – nel solo 2021. A loro va ora aggiunto anche Manuel Esteban Paez Terán, morto per salvare una foresta.

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