La ChatGPT ci sprona a essere più creativi

“Abbiano chiesto a ChatGpt di scrivere un pezzo sulla situazione politica internazionale”. Oppure “Abbiamo intervistato ChatGpt per capire quali sono le sue opinioni sulle questioni di genere”. O anche “Abbiamo messo alla prova ChatGpt su un messaggio motivazionale”.
Queste settimane non c’è stato quotidiano o testata online che non abbia scritto un pezzo “in collaborazione” con ChatGpt, l’evoluto chatbot generatore di testi lanciato dall’organizzazione OpenAI di San Francisco (tra i cui fondatori c’è anche Elon Musk).
È praticamente diventato una sorta di “genere giornalistico instant”, un esercizio di stile che funziona come curiosità, a volte come analisi critica e approfondimento per capire le fonti a cui attinge o altre volte solo per il LOL.
È inevitabile che ci sia questa lunga serie di articoli, considerato il livello di sofisticatezza che ha raggiunto questo algoritmo di intelligenza artificiale anche nella lingua italiana: in tutti questi pezzi c’è sempre un sottotesto che va dal “bene, così lavoriamo di meno” al “aiuto, questo ci ruba il lavoro” a seconda dei ruoli e dell’etica.
In realtà non è vera nessuna delle due ipotesi, fondamentalmente perché ChatGpt non è un tool da essere applicato al giornalismo.
Facciamo quindi un piccolo passo indietro per capire come è nato e per quali utilizzo.
ChatGpt è una variante del modello linguistico Gpt (Generative pre-training transformer) sviluppato appositamente per generare testi simili a quelli umani in un contesto di conversazione. Non è quindi un nuovo strumento, ma è solo un significativo avanzamento di servizi che già esistevano da almeno un decennio.
Come tutti i prodotti legati all’AI e al machine learning, anche il ChatGpt non ha alcuna possibilità di capire che quello che sta “dicendo” sia vero o falso: semplicemente mette assieme statisticamente tutto quel materiale usato per il suo addestramento per costruire frasi e concetti verosimili.
ChatGpt sfrutta circa 200 miliardi di parametri che, grossolanamente, corrispondono ai neuroni dell’essere umano, ed è stato addestrato con 800 GB di testi, tra cui l’intera sezione di Wikipedia in inglese: quindi grande capacità di elaborare dati e informazioni con una velocità sorprendente. Tuttavia ChatGpt è stato progettato per essere un assistente e non per svolgere lavori in solitaria.
Quindi questo algoritmo generativo, come altri che operano in campi differenti, serve fondamentalmente per automatizzare attività ripetitive, che sono time-spending e dove l’uomo, almeno fino a una certa fase, può essere sostituito dalla macchina. a esempio, le aziende possono utilizzare ChatGPT per rispondere automaticamente alle domande più frequenti dei clienti o potenziali nella sezione customer service, liberando gli operatori del servizio clienti per potersi concentrare su problemi più complessi, con il risultato di rendere il servizio migliore e più efficiente. Oppure nel campo della traduzione linguistica, a esempio di manuali di istruzione, in cui l’analisi del contesto è univoca e dove il pensiero critico non è richiesto.
Tuttavia la preoccupazione che questi strumenti prendano parte o addirittura il sopravvento nel mondo del lavoro, esiste.
C’è però da dire che, paradossalmente, il ChatGpt nel campo della comunicazione e della creatività opera come puntello e stimolo a fare di più e meglio.
Provate a esempio a chiedere a ChatGpt a scrivere il copy di una campagna pubblicitaria, una sceneggiatura o addirittura un testo di stand up comedy.
ChatGtp eseguirà l’ordine, i testi saranno tutti verosimili, ma pieni di cliché, luoghi comuni, frasi fatte e prevedibili.
Niente che non si veda oggi in giro scritto da esseri umani demotivati, ma che mette di fronte a tutti coloro che continuano ad amare il proprio lavoro e a voler fare cose dignitose ad alzare l’asticella. Perché l’uomo è ancora capace di fare cose geniale e sorprendenti che l’AI neanche si immagina: del resto l’AI non può immaginare, ma solo elaborare rapidamente.
