Ambiente

La battaglia delle comunità del Delta del Niger contro Shell

Le comunità africane locali chiedono alla multinazionale petrolifera di farsi carico dell’inquinamento prodotto nell’area ma anche un risarcimento per il danno arrecato alla salute e all’ambiente
Credit: EPA/GEORGE ESIRI
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2 febbraio 2023 Aggiornato alle 16:00

La battaglia delle comunità del Delta del Niger contro il colosso petrolifero Shell si arricchisce di un nuovo capitolo.

I contenziosi giudiziari imperniati sui danni prodotti dall’estrazione di petrolio dell’area che si trascinano da anni sono ora a un punto di svolta, con il giudizio intentato dinanzi all’alta corte di Londra da due comunità nigeriane: i cittadini di Ogale, una comunità agricola locale, e quelli di Bille, una comunità costituita perlopiù da pescatori.

Quasi 14.000 persone e altrettanti reclami, per ottenere la condanna della multinazionale petrolifera per l’inquinamento arrecato dall’attività d’estrazione nel Delta del fiume. Oltre al risarcimento per la devastazione del territorio – in termini ambientali e salutari – e le correlate attività dei suoi abitanti.

La possibilità di ricorrere alla corte londinese è stata a lungo oggetto di contesa: quasi sei anni - l’avvio risale all’ottobre e poi al dicembre 2015, con il giudizio intentato dinanzi alle corti londinesi dai cittadini delle comunità nigeriane – prima della storica sentenza del febbraio 2021 emessa dall’alta corte del Regno Unito: la giurisdizione sul caso – questa la decisione - è dei tribunali britannici. E questo sulla scorta dell’appartenenza della sede legale della società madre di Shell (la Royal Dutch Shell, Rds) al territorio del Regno Unito. Come spiegato dal legale delle comunità nigeriane, i cittadini del Delta del Niger hanno infatti scelto di tirare in ballo la società madre come diretta responsabile dell’inquinamento nella zona, dovuto in larga misura alla sistematica fuoriuscita di petrolio dagli oleodotti, sin dall’avvio delle attività a inizi anni ’50.

Perché – la tesi sostenuta – se è vero che sul territorio opera una controllata (la Shell Petroleum Company of Nigeria) è altrettanto vera la sussistenza di oneri di supervisione da parte della società capofila che – secondo le comunità locali – era da diverso tempo a conoscenza delle fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti, sebbene la società continui ad addossare le colpe ad attività illegali di terzi, connesse al sabotaggio degli impianti e al furto di petrolio.

La Nigeria, infatti, è tra i maggiori produttori ed esportatori di greggio. E l’area interessata è in larga misura proprio il Delta del Niger, dove si concentra l’80% delle attività d’estrazione. La Shell, in particolare, vanta nella zona 50 pozzi e oltre 6.000 chilometri di oleodotti e gasdotti, con profitti di oltre 30 miliardi di dollari nei primi tre trimestri dello scorso anno. A fronte di questa attività, tuttavia, sono stati acclarati anche pesanti impatti ambientali. Impossibile una valutazione complessiva dei danni arrecati.

Il governo federale nigeriano aveva reso noto che tra il 1970 e il 2000 vi sono state almeno 1000 perdite accertate dovute all’attività di Shell, la quale ha ammesso successivamente perdite di 14.000 tonnellate di petrolio nel solo 2009 (la quasi totalità delle quali, tuttavia, la imputava ai sabotaggi).

Sono almeno 40, poi, le fuoriuscite di petrolio dalle infrastrutture Shell nella comunità di Ogale dal 1989, con una grave contaminazione della terra e dei corsi d’acqua locali, come evidenziato dal Programma dell’Onu per l’ambiente.

Il report, stando a rilievi effettuati nel 2010, parla di una contaminazione da petrolio delle acque sotterranee di 1000 volte superiore rispetto alle leggi vigenti nello stato africano. Con la conseguenza, ça va sans dire, di gravissimi rischi nel caso di un suo utilizzo per bisogni umani. Quanto a Bille, secondo i dati dei legali delle comunità, le fuoriuscite di petrolio hanno causato il danneggiamento di 13.200 ettari di mangrovie, la morte dei pesci nei fiumi e l’immediata conseguenza – per una popolazione costituita vieppiù da pescatori – della privazione della più immediata fonte di sussistenza.

Tutto questo è ora oggetto di giudizio, con le comunità locali che chiedono il conto a Shell di devastazioni perpetrate per decine di anni, e dai cui effetti gli abitanti dell’area sono gravati anche oggi: tra i vari report, spicca difatti quello redatto dall’Università San Gallo in Svizzera secondo cui i bambini nel delta del Niger hanno il doppio delle probabilità di morire nel loro primo mese di vita se le loro madri vivono vicino a una fuoriuscita di petrolio, come certificato dal dato globale: 11.000 morti premature all’anno registrate.

La speranza dei legali delle comunità è anche che i giudizi impongano la divulgazione dei documenti sulle politiche attuate dalla Shell in Nigeria.

Intanto sono già intervenute delle pronunce sfavorevoli a Shell in contenziosi con singoli cittadini della zona: nel gennaio 2021, la corte d’appello dell’Aia ha ritenuto la società responsabile dei danni causati da due fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti di Oruma e Goi nel delta del Niger, condannandola a risarcire le persone colpite dalla compromissione di oltre 400.000 metri quadri di territorio per gli sversamenti intervenuti tra il 2004 e il 2007.

Mentre nel maggio successivo la stessa corte ha imposto al colosso di ridurre le emissioni in Nigeria. Ora, visti i contenziosi in corso, è in dubbio che queste siano le uniche pronunce di condanna rispetto all’attività della multinazionale petrolifera in Nigeria, chiamata a difendere l’operato su cui puntano il dito le comunità locali.

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