Ambiente

Allevamenti intensivi: non ci piacciono più

Non solo le associazioni animaliste, oggi sempre più spesso sono i singoli cittadini o i gruppi di persone a opporsi alla costruzione di allevamenti intensivi e allo sfruttamento degli animali
Credit: Mark Stebnicki/ Pexels
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28 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

Gli allevamenti sono orribili per gli animali e rappresentano un danno per l’ambiente e per chi lo vive. Lo dimostrano le tante proteste degli abitanti delle zone italiane più densamente occupate dagli stabilimenti intensivi, dove gli animali vengono sfruttati a scopo alimentare ogni giorno.

In diversi comuni della Pianura Padana il numero di animali allevati supera quello degli abitanti e i parametri ambientali legati all’inquinamento di origine zootecnica sono spesso a livelli di guardia. In Veneto a esempio, solo sui Colli Euganei le galline allevate sono 1,3 milioni per 3000 abitanti.

Rumorosi e maleodoranti, gli allevamenti intensivi rilasciano ammoniaca, metano, PM10 e PM2,5 (una miscela di particelle inquinanti estremamente pericolose soprattutto per l’apparato respiratorio), ma anche liquami nei terreni, con un grave impatto sulla qualità della vita delle comunità che vivono nei pressi di questi stabilimenti.

Spesso sono proprio i cittadini a mobilitarsi per chiedere al Comune di residenza di intervenire bloccando i lavori di costruzione degli allevamenti e facendo appello soprattutto agli impatti ambientali e sanitari negativi che provocano sul territorio, nonché ai disagi legati ai cattivi odori che provengono da questi luoghi.

Alcuni esempi di comitati cittadini che sono riusciti a contrastare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi arrivano soprattutto dal nord e dal centro Italia, luoghi in cui ogni anno vengono macellati più di 500 milioni di polli e nei quali si conta la metà della produzione nazionale di suini e un quarto della produzione di bovini.

È il caso del Piemonte, dove il gruppo di residenti denominato Isola2021 tramite ricorso al Tar ha ottenuto la sospensione della costruzione di un maxi-allevamento intensivo che avrebbe dovuto ospitare 106.000 polli.

In provincia di Mantova, inoltre, un piccolo comitato locale ha vinto un referendum cittadino contro l’apertura di un nuovo maxi-allevamento di oltre 10.000 suini e da circa due anni sta bloccando l’ampliamento e l’avvio di un altro allevamento di circa 4.000 maiali.

Ma casi simili sono presenti anche in Emilia-Romagna, dove il Comitato No Polli ha chiesto di fermare la costruzione di quattro allevamenti di polli, e nelle Marche, con il cittadino Andrea Tesei che ha di recente ottenuto dal Consiglio di Stato lo stop ai lavori per l’allargamento degli 8 capannoni che avrebbero dovuto ospitare 2,5 milioni di polli allevati ogni anno a 250 metri dalla sua proprietà.

Dal nord al centro, insomma, l’azione di molte persone dimostra l’insostenibilità di aree di sfruttamento estremo e detenzione come gli allevamenti. A patire le conseguenze più gravi, non dimentichiamocelo, sono milioni di individui costretti a vivere incessantemente in spazi sovraffollati e in condizioni igieniche pessime.

Nel breve e medio termine è estremamente importante fermare l’estensione di questi luoghi visto che l’apparato industriale promette opportunità illusorie che hanno dimostrato più volte di portare alla sofferenza estrema degli animali e alla distruzione dell’ambiente in cui viviamo, generando di conseguenza zoonosi, inquinamento delle acque e dell’aria, letali non solo per gli esseri umani ma anche per gli altri animali che condividono con noi questo pianeta.

E nel lungo termine? Abbiamo tutte le informazioni per decidere da che parte stare, il primo e più semplice passo è quello di lasciare carne e derivati animali fuori dai nostri piatti per non contribuire più a questo ciclo di sfruttamento e sofferenza.

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