Ambiente

Perché dovremmo smettere di mangiare gli animali

Per le atroci sofferenze alle quali - prima negli allevamenti, poi nei macelli - sono sottoposti, e perché la produzione di carne è tra le più inquinanti del Pianeta. Questo dovrebbe farci riflettere
Credit: Mohammed Alzubidi/ Unsplash
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21 gennaio 2023 Aggiornato alle 06:30

Le persone amano gli animali: nel mondo sono centinaia di milioni quelli domestici che fanno parte di famiglie che li accudiscono.

Eppure, allo stesso tempo, ogni anno circa 80 miliardi di esemplari tra polli, galline, maiali, mucche, vitelli, agnelli, pecore, cavalli e altro vengono sfruttati e uccisi a scopo alimentare. A questo numero va aggiunto quello dei pesci, difficilissimo da individuare, ma che secondo alcune stime sarebbe compreso tra 51 e 160 miliardi, solo per quanto riguarda gli allevati.

Gli animali che arrivano sulle nostre tavole provengono perlopiù da allevamenti intensivi dove sono rinchiusi dal primo giorno di vita e che lasciano solo per andare al macello. Tramite diverse inchieste, noi di Animal Equality abbiamo dimostrato più volte come, tanto negli allevamenti quanto nei macelli, gli animali siano costretti a patire estreme sofferenze: lasciati a vivere in condizioni igienico-sanitarie preoccupanti, maltrattati, feriti, abbandonati ad agonizzare o addirittura uccisi crudelmente senza rispettare neppure le poche leggi a loro tutela.

Questa è la prima e più grande motivazione per invitare le persone a smettere di mangiare carne e altri derivati animali, perché con le nostre scelte alimentari possiamo cambiare in modo concreto la vita di molti esseri viventi. Amare gli animali significa lavorare e agire per proteggerli uno per uno e senza distinzione di specie.

Ma non è tutto: i miliardi di animali che vengono uccisi a scopo alimentare, infatti, devono essere allevati, nutriti e dissetati e questo ha un devastante impatto sul Pianeta in cui viviamo. Stando ai dati Fao, il 15% circa delle emissioni di gas serra a livello mondiale è riconducibile agli allevamenti intensivi e ad attività a essi correlate.

Inoltre la dispersione delle enormi quantità di liquami prodotti negli allevamenti è complice anche dell’inquinamento delle falde acquifere. L’acqua poi non viene solo inquinata ma anche sprecata: secondo la recente ricerca di Arjen Y. Hoekstra (Twente Water Centre, University of Twente), il consumo di prodotti animali costituisce più di un quarto dell’impronta idrica dell’umanità.

Per sfamare questi animali c’è bisogno anche di una grande quantità di cibo, oltre che di acqua: soia, mais, orzo, avena, frumento sono gli alimenti più frequentemente presenti nelle diete degli esemplari negli allevamenti e provengono soprattutto da ampie monoculture che hanno un impatto negativo sul Pianeta. Basti pensare che il 90% della soia prodotta al mondo è destinata agli allevamenti intensivi, mentre fino a un terzo dei pesci pescati non viene consumato direttamente dalle persone ma utilizzato come cibo per animali allevati.

Quando ognuno di noi mette qualcosa nel carrello della spesa dovrebbe quindi pensare che per produrre quella carne o altri derivati presenti sui banconi del supermercato si condannano a estreme sofferenze miliardi di animali in un processo che produce una quantità estrema di inquinamento, occupa terreni e consuma acqua e cibo che potrebbero essere destinati direttamente alle persone.

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